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La Stampa

De gustibus disputandum est - Paesaggio e cucina sono i migliori alleati delle nostre cantine ... Da alcune settimane è tutto un fare previsioni sulla nuova vendemmia. Spesso sono parole un po’ a vanvera, poiché è davvero difficile fare valutazioni finché l’uva non è in cantina. Il 2004 in ogni caso sembra un’annata molto buona e la produzione dovrebbe risultare particolarmente copiosa. In base a questi primi dati nell’ambiente si comincia a ragionare su possibili scenari futuri, anche alla luce delle difficoltà trovate ad affrontare il mercato negli ultimi tempi. Quello che ripeto sempre ai miei amici produttori piemontesi quando mi chiamano in causa su questi temi è di stare tranquilli, soprattutto di non abbandonarsi a inutili miserere. Anche se gli ultimi anni hanno segnato un po’ di flessione per i grandi rossi piemontesi, torneranno i tempi di vacche più grasse; sempre a patto che ci si muova con cognizione. Ad esempio imparando a governare il limite dei propri successi con saggezza, focalizzando l’attenzione sugli ingredienti che hanno portato alla ribalta la propria cantina e il proprio territorio e su quelli continuando a lavorare per non ritrovarsi, un giorno, del tutto smarriti. Le preoccupazioni dei produttori sono rivolte a come reagirà il mercato – in particolare quello estero che di recente ha zoppicato un po’ – di fronte alle future produzioni e alle grosse quantità di quest’anno. In Piemonte ci si chiede soprattutto, quali interventi programmare, quali reti predisporre, a che porte bussare. Beh, proviamo per una volta a ragionare in un altro modo. Il vino in Piemonte ha ottenuto i riconoscimenti e fette di mercato non solo perché vanta varietà e qualità invidiabili: il vino piemontese è quello che è perché è inserito in un sistema ideale, fatto di piccola produzione, bellezza del territorio e grande gastronomia. La piccola produzione garantisce un’umanità incredibile, concorrenze salutari, reciproco sostegno e una diversità produttiva che è tra le più grandi fortune per qualsiasi territorio vitivinicolo che punti all’eccellenza. La frammentazione della produzione non va vista come un handicap, ma come tratto distintivo. Il territorio poi magnifico ospita paesaggi unici e meravigliosi, invoglia qualunque turista del vino a venire qui da noi. Perché allora deturparlo, perché non programmarne la salvaguardia e il riordino? Lo sostengono da tempo: ville improponibili, sbancamenti di intere colline e monocoltura spinta distruggono quello che ci ha sempre contraddistinto ed è un valore aggiunto. E poi, quando inizieremo a promuovere veramente il territorio insieme al vino? Come è possibile che nelle carte dei ristoranti stranieri ci sia il Barolo e lì nessuno abbia neanche una mezza idea di dove sia il Piemonte?
Infine la gastronomia: la nostra ricchezza da questo punto di vista è nota, ma in maniera molto superficiale. Chi ha esperienza di ristoranti italiani all’estero sa di cosa parlo. E lasciamo perdere i pochi ristoranti piemontesi in terra straniera : un disastro. Portiamo in giro per il mondo vini strepitosi ma le nostre tradizioni alimentari si riducono a quattro luoghi comuni neanche ben riproposti. Inoltre, nelle zone vocate al vino, in virtù della monocultura, la piccola agricoltura legata ai prodotti tradizionali sta scomparendo insieme ai prodotti più importanti. Secondo me il futuro del vino – che in virtù di quanto fatto finora viaggi comunque su gambe solide – passerà per la difesa di due aspetti non così direttamente collegati a esso: il paesaggio e la piccola agricoltura tradizionale di territorio. Visto che i produttori vogliono investire per garantirsi più in là anni sereni e le istituzioni hanno la volontà di lavorare con loro; consiglio a tutti di collaborare per non rovinare il paesaggio e di fare interventi discreti ma sostanziali, con una lunga programmazione. E poi credo sia il caso di investire in produzioni agricole tipiche e sulla trasformazione locale delle materie prime: il grano, le farine e piccoli forni per un pane più buono, ortaggi e frutta autoctoni o piccoli macelli per le razze regionali. Lasciate stare l’impianto di nuovi vigneti o le aziende fuori dalla vostra regione, pensate agli altri prodotti della vostra zona, alla piccola agricoltura e, di conseguenza, alla gastronomia. Questo mi pare il modo migliore per dare una mano all’elemento che più dà valore aggiunto al vino, al territorio e quindi inevitabilmente a se stessi. (arretrato de "La Stampa" del 19 settembre 2004)

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