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La Stampa

Intervista - “Adesso bisogna saper osare”. Lamberto Gancia: “la concorrenza è opportunità. Parla il presidente del comitato che raggruppa le grandi organizzazioni europee del settore enologico. Dobbiamo imparare dagli avversari. l’Australia partita da zero, si è subito dotata di tecniche all’avanguardia. E’ la strada vincente” … Lamberto Vallarino Gancia dall’inizio dell’anno è il primo presidente italiano del Ceev, il Comité Européen des Entreprises Vins, il comitato che raggruppa 20 organizzazioni europee delle industrie e del commercio del vino (tra le quali la Federvini e l’Unione Italiana Vini) e si prefigge di orientare le politiche comunitarie nel settore della viticoltura verso una politica commerciale più competitiva. Un osservatorio privilegiato per tentare un’analisi della situazione comunitaria alla vigilia della stagione della vendemmia, mentre vecchi e nuovi problemi sembrano minacciare il comparto.

Quanto la situazione europea rispecchia la crisi italiana?

“In questo momento, mentre i nostri vigneti e i nostri impianti sono bloccati perché storicamente abbiamo avuto una sovrapproduzione e quindi paghiamo lo scotto del contributo alla distillazione, i Paesi extra Ue se ne avvantaggiano e si accaparrano la maggiore quota possibile dei mercati, esportano di più. In questo senso il male è comune”.

Quali sono i concorrenti più temibili

“California, Nuova Zelanda, Cile, ma soprattutto l’Australia. Il vino australiano è venduto praticamente sottocosto, ha un buon rapporto qualità-prezzo e su alcuni mercati con minore tradizione vitivinicola rispetto a quella europea, penso alla Gran Bretagna, dove arriva la metà del quantitativo totale esportato, e agli Stati Uniti, dove è in continua crescita, non ha praticamente concorrenti”.

Possibili contromisure e antidoti?

“L’Europa in questi anni ha investito in vitigni e impianti di qualità e globalmente il suo prodotto è di molto migliorato. Penso ai vini spagnoli, austriaci, tedeschi e greci, che in breve hanno fatto progressi enormi. Inoltre abbiamo un punto di forza nella denominazione d’origine controllata, cioè nello stretto legame con la zona di produzione. Si tratta di ricette che non sono replicabili, in quanto sono espressione del territorio, e questo ci garantisce. Gli altri stanno sfruttando i vitigni internazionali, che sono noti e diffusi un po’ dappertutto: Merlot e Chardonnay, giusto per citare un rosso e un bianco. Li hanno scelti perché hanno un minor costo di lavorazione e attecchiscono più facilmente. ma non potranno mai produrre Barolo o Rjoia o Sauternes. Questa è la nostra unicità”.

Si può ipotizzare una tutela legislativa?

“Si può cercare un equilibrio, ma non c’è ancora una legge comune internazionale in proposito. In Europa i Paesi a grande vocazione vinicola impongono meno tasse sul prodotto, al contrario di altri, e in questi spazi la concorrenza trova buon gioco. Un obiettivo possibile è quello di ottenere prodotti meno costosi e più commerciabili”.

Quale ruolo può essere svolto dai nuovi ingressi nella Eu?

“I nuovi mercati europei rappresentano un’opportunità ma anche un ostacolo perché consumano solo prodotti locali, che non sono molto smerciati all’estero. L’opportunità è invece quella di esportare tecnologia, know how, per farli crescere. Alcuni, come l’Ungheria, sono decisamente interessanti. Bisogna imparare dagli avversari. Paesi come l’Australia, partiti da zero, si sono subito dotati di vitigni giovani e tecnologie all’avanguardia. Questa è la strada vincente”.

C’è attenzione al problema a livello Ue?

“Si, c’è una Authority di controllo, la Ue si pone come partner per dare consulenza a tutta la filiera europea”.

Quindi non vede nero, alla fine?

“No, perché dovrei? Ci sono buone prospettive, abbiamo già vissuto alti e bassi e crisi di consumi. Il mercato a volte si ferma ma poi riprende. C’è stato il cambio dell’euro, che ha posto qualche difficoltà, ma dobbiamo proseguire per la nostra strada e il mercato ci darà ragione. Non mancano i segnali incoraggianti, come la Russia e la sua crescente domanda di prodotti di qualità, la crescita delle Cina, un mercato dalle enormi potenzialità, la ripresa del Giappone … Dobbiamo discutere di opportunità e non di problemi. E far conoscere i nostri prodotti, saperli imporre”.

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