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La Stampa

Il vigneto globale rende in banca ma omologa i gusti ... Le nomination agli Oscar di quest’anno hanno riservato un ottimo trattamento al film “Sideways”, una commedia intelligente che ha per sfondo la sincera passione per il vino ed è ambientata in California. Il film sarà tra poco nelle sale in Italia e ne consiglio vivamente la visione, toccherà il cuore degli enofili e farà molto parlare di sé. Chissà invece quanto farà parlare di sé “Mondovino” un documentario presentato allo scorso festival di Cannes e che sarà nei cinema italiani ai primi d’aprile. Forse non sarà appetibile al grande pubblico, ma non passerà certo inosservato nel mondo enologico. Stiamo parlando di un documentario che potremmo definire sulla globalizzazione del vino girato dall’americano, ma residente a Parigi, Jonathan Nossiter.

Il regista indaga sul gusto, sul vino come cultura della terra e sui meccanismi che ne regolano la produzione delle migliori etichette a livello mondiale. Lo fa in un viaggio che tocca Usa, Europa e Sudamerica, incontrando i Mondavi, Frescobaldi e Antinori, il critico Robert Parker, il consulente enologico Michel Rolland, ma anche piccoli produttori come Hubert de Montille in Borgogna, i Colombu in Sardegna, i Bianchetti in Brasile.

Il tema è la solita tensione tra le diversità dei terrori e l’omologazione del gusto: i vini di piccoli produttori, fortemente adesi alla tradizione dei loro luoghi e alla storia organolettica del loro vino, contrapposti al brand, al vino di gusto internazionale di cui Mondavi, Parker e Rolland sono tra i principali fautori. Si cercano di analizzare i meccanismi storici ed economici che hanno portato molti vini provenienti dai territori più disparati ad assomigliarsi incredibilmente, facendo assumere maggior rilevanza al lavoro dell’uomo in cantina rispetto a quello in vigna.

Il tutto è apparentemente girato in maniera obiettiva: interviste dirette e nessun commento degli autori, ma, si sa, la mano del regista ha mille modi per farsi sentire. E allora ecco che stride il contrasto tra il ricco produttore argentino Etcharts e il vicino contadino indio che ha meno di un ettaro di vigna; tra la purezza e l’amore per la terra che traspare dalle parole del sardo Colombu e la soffocante, ristrettissima inquadratura che contiene a malapena i Mondavi mentre raccontano delle loro acquisizioni in Italia o in Argentina; del loro lavoro a livello mondiale con Rolland; della querelle che gli impedì di insediarsi ad Aniane, nell’Herault, dopo accese polemiche e accuse di imperialismo da parte della popolazione locale.

Sono queste e altre le vicende raccontate nel film, dal quale emerge un bisogno che vorrebbe i Mondavi come capofila alla conquista del mondo per imporre un unico gusto. Non ci sono grandi faziosità e in realtà, semplicemente, si racconta una forte tendenza in atto negli ultimi venticinque anni. Sostenere che sia anche questo imperialismo è una tesi forse un po’ troppo militare, ma va fatta una considerazione. Il vino è sempre stato tra le massime espressioni di civiltà dell’uomo. Ne ha accompagnato la storia e la racconta in maniera mirabile. Sarà dunque naturale segno dei tempi se molte delle più grandi etichette ci sono state ben vendute da chi meglio ci influenza sfruttando ricchezza, canali, e opportunità di una globalizzazione che c’è e che non possiamo nascondere.

Altro discorso è cosa fare, cosa scegliere, cosa bere. Un discorso che non è soltanto legato al piacere di stappare e godersi vini più o meno buoni, ma al valore e al rispetto per la terra, l’ambiente, il lavoro e la figura del contadino. Accanto a grandi dinastie del vino (i Mondavi, tra l’altro, hanno dovuto poi vendere l’azienda di famiglia, quotata in borsa, a un gruppo ancora più grande: globalizzatori globalizzati, inghiottiti dal loro stesso gioco) in questo documentario ci sono i messicani in Napa Valley, i contrasti di famiglia in medie aziende borgognone, l’indio che regala orgogliosamente una bottiglia al regista, il sardo che dice che non bisogna inseguire il denaro a tutti i costi, che è questione di civiltà della terra e che ci deve essere posto per tutti. Già: posto per tutti. Ma ci vuole anche giustizia. E’ questione, come ha scritto a proposito del film un giornalista francese, di vedere se il vino giustifica i mezzi”. Anche questa volta, non una semplice questione di gusto.

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