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La Stampa

Intervista - Il guru di Barbaresco - Angelo Gaja: la qualità si vende senza fare sconti ... Il vino italiano cresce nel mondo, ma attenzione: questa crescita deve essere sostenuta da capacità adeguate di marketing sui mercati esteri, che, invece, stando alle valutazioni di Angelo Gaja, uno dei nomi più noti a livello internazionale, non sempre ci sono.
Dunque l’Italia del vino è capace a produrre bene, ma non altrettanto a vendere? «In molti casi è così e questo avviene soprattuto per il Piemonte, dove mancano aziende familiari, storiche, di grandi volumi, che calchino personalmente con i loro esponenti i mercati esteri per costruire incessantemente domanda al pari di quanto fanno Antinori, Frescobaldi, Ruffino, Banfi, Masi, Lungarotti, Mastroberardino…».
Ma i vini piemontesi sono in testa alle classifiche mondiali... «Sì, però i rossi del Piemonte vanno spiegati, vanno raccontati, hanno bisogno di divulgatori che calchino con maggiore frequenza i mercati esteri, che abbiano ottima conoscenza della lingua inglese, che raccontino la suggestione del territorio e dei suoi vini».
Invece? «Invece di alcuni vini manca un messaggio trasparente. Accade che la differenza di prezzo pagata tra uve di qualità elevata ed uve di qualità infima è spesso irrisoria. Vuol dire che del vecchio adagio “la qualità si fa nel vigneto” si è molto abusato a parole mentre concretamente quando si tratta di produrre maggiore qualità da un lato e dall'altro pagare prezzi diversi per scaglioni di qualità diversi, sono in molti a dimenticarsene».
E questo cosa comporta sul mercato? «Comporta la tendenza, naturalmente parlo solo di alcuni, di occupare gli spazi che si rendono liberi vendendo a prezzi stracciati».
Ma le Doc non mettono al riparo dalle differenze di qualità nel vigneto di cui lei parla? «Sì, ma, ad esempio la Doc “Barbera del Piemonte” ha trascinato verso il basso l'immagine del vino piemontese più popolare perchè in essa sono confluiti anche superi, torchiati, vini di qualità modesta, se non infima…».
Se è così come si può rimediare? «Ho letto del progetto di estendere a Barbera Piemonte Doc la fascetta regionale: se accompagnata da una seria gestione del piano dei controlli è un ottimo provvedimento. Ma forse occorre anche riesumare una vecchia idea: quella di riservare la Doc al solo nome Piemonte non concedendo la facoltà di utilizzare a fianco anche il nome varietale Barbera. Nel relativo disciplinare si potrà indicare che la quantità in cui la varietà Barbera deve essere presente, lasciando facoltà ai produttori di utilizzare anche altre varietà ammesse nella regione».
E poi? «Occorrerà individuare gli strumenti per stimolare industriali e grandi enopoli a progettare nella Doc Piemonte anche dei vini commerciali di contenuto qualitativo più elevato: occorrerà cioè adoperarsi al fine di costruire per la Doc Piemonte una piramide della qualità e del prezzo così come è stata costruita per la Igt Toscana. Eliminare l'indicazione varietale “Barbera” dalla Doc Piemonte avrebbe anche il vantaggio di fare decollare finalmente Barbera d'Asti, Barbera del Monferrato e Barbera d'Alba, il cui passaggio alla Docg andrebbe favorito». (arretrato de La Stampa dell'8 aprile 2006)

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