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La Stampa

Vinitaly - Mercato e costume la rassegna di Verona bussola delle nuove tendenze. Export esotico: nel futuro dei nostri produttori ci sono ancora da esplorare oltre 200 Paesi: dalla terra dei maraja alla piccola Albania... Se il vino fosse un partito politico i suoi leader sarebbero gli unici a non aver timori per l’affluenza di elettori ai seggi. Al Vinitaly di Verona, edizione del quarantennale aperta giovedì, nei primi due giorni sono andate 50mila persone e ieri quasi altrettante. Entro lunedì sera, momento in cui si chiuderanno i battenti, il conteggio dei visitatori dovrebbe toccare quota 150.000, con un incremento del 30% di pubblico straniero.
Tanto per restare in Italia, tre persone su quattro consumano abitualmente vino e queste cifre rendono «democratiche » anche le grandi etichette, che, sull’esempio lanciato da Lodovico Antinori, fanno cadere il veto della vendita al bicchiere e si mettono in gioco con un pubblico più vasto. Sì perchè questo benedetto - è il caso di dirlo - vino, oltre a creare ricchezza, ha davvero cambiato il costume della società. Un esempio? La bottiglia del «supertuscan» che Donatella Cinelli Colombini ha battezzato «Il drago e la colomba»: nel collo c’è un cavatappi già connesso col sughero. Un sistema pratico per far capire che anche un vino importante può essere consumato dovunque e in ogni momento. Meno sacralità e più gusto della vita, un’immagine più morbida, più «easy», ma senza dimenticare che si parla di prodotti d’autore, che vanno tutelati da imitatori e falsificazioni, come ha fatto Ciacci Piccolomini d’Aragona, che per il suo Brunello ha scelto una capsula dotata di uno speciale ologramma messo a punto dal gruppo tedesco Kurz, che fornisce teconologia difensive anti-falsari persino alla Banca centrale europea.
Bianco, rosso e rosè è la strategia di Villa Banfi, che inaugura le sue «quote rosa» sulla scorta delle indagini di mercato che identificano in donne e giovani le nuove «tribù» di consumatori destinate a crescere rapidamente. Ma, a Verona, l’Italia mette in campo anche tutto il suo peso di superpotenza enologica mondiale, tant’è vero che la commissaria all’agricoltura europea, Marianne Fischer Boel, ha voluto annunciare qui che il budget comunitario per il settore vitivinicolo è confermato in un miliardo di euro. Cifra non indifferente, manon di molto superiore all’export di vino italiano nei soli Stati Uniti, dove si è superato il miliardo di dollari. Mentre Gianni Alemanno, alla sua ultima uscita ufficiale in veste di ministro dell’agricoltura di questo governo, lascia questo suggerimento a Bruxelles: «Date più retta ai grandi paesi produttori quando si tratta di pensare regole e riforme sul vino».
Un po’come dire: attenti a non sacrificare un sistema vincente sull’altare delle trattative del commercio internazionale. Anche perchè, come spiega uno studio di Confagricoltura, per il vino si aprono sbocchi sempre nuovi: vedi l’India, dove esiste una popolazione di 300 milioni di consumatori del ceto medio, con un potere d’acquisto sempre maggiore.
Un mercato in cui l’Italia insegue la Francia e che negli ultimi tre anni è aumentato del 22%, mentre nei prossimi due dovrebbe crescere addirittura del 30%. Obiettivo confermato dalle proiezioni di Assoenologi: «L’India è un passo importante - dice il direttore Giuseppe Martelli - soprattutto se farà parte di una strategia più ampia. Il 90% delle nostre esportazioni di vino è orientato verso undici Paesi, dobbiamo abituarci a pensare che ne esistono altri 200 in cui andare a vendere».
Senza andar lontano basta guardare all’altra sponda dell’Adriatico: «In Albania l’Italia è un modello di stile di vita di cui il vino fa parte - dice Artan Shytaj, responsabile di Federexport Piemonte a Tirana - con l’aumento del reddito il piccolo “paese delle aquile” può diventare quasi un mercato domestico per i produttori italiani». Attenzione però, avverte la Coldiretti, giocando all’attacco, a non trascurare la difesa, perchè nel 2005 l’import di vino in Italia è salito del 6,6% ed in testa ci sono gli Usa, diventati il primo fornitore di vino straniero della nostra Penisola.
Segnali di consumi interni in ripresa, afferma la Confederazione italiana agricoltori, dovuti proprio all’aumento di concorrenza, che ha stimolato le vendite dirette in azienda e la riduzione dei listini della grande distribuzione con l’effetto finale di un taglio di quasi il 10% dei prezzi al consumo. E infatti, segnala un’altra indagine, i consumi italiani ripartono e si dividono nettamente tra «vino da favola» e vino da tavola: grandi etichette per le grandi occasioni e per la quotidianità anche «no logo», purchè di qualità.

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