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La Stampa

Degustibus - Può passare da una stalla la strada permigliorare secondo natura vini e territorio ... Frequentando sempre più spesso per lavoro personaggi esperti di sostenibilità, agroecologia e biodiversità, mi sta capitando sovente di ricevere critiche sul mio territorio e per come talvolta è gestito da chi lo coltiva. Mi riferisco in particolare alla Langa e al suo sistema di coltivazione della vite. Mi dicono: «Siete pazzi, state compromettendo una ricchezza straordinaria». Non è la prima volta che ne parlo: quella che in alcune zone si sta configurando come una totale monocultura della vite, pregiudica non soltanto la biodiversità vegetale e animale che si elimina per fare posto ai filari; uccide letteralmente anche il terreno. La corsa ai grandi numeri rischia seriamente di compromettere il più grande patrimonio che hanno i vignaioli: la loro terra, che se sfruttata e stressata eccessivamente potrebbe diventare improduttiva. Il problema è piuttosto serio e non mancano in Piemonte le prime sperimentazioni di viticoltura biologica o biodinamica. Molti vignaioli hanno già capito che niente potrà restituire ai loro vini l'eccellenza che il terroir sa conferire e hanno presto pensato di invertire rotta. Ma si sono scontrati con piccoli e grandi problemi che comporta una riconversione all'agricoltura senza prodotti chimici, in armonia con l'ecosistema circostante.
Ad esempio mancano i concimi naturali: ovvero il buon sano letame, che è sempre più difficile trovare in quantità visto che tutto quello proveniente dagli allevamenti intensivi non può essere utilizzato come concime in quanto rischierebbe addirittura di peggiorare la situazione. I più lungimiranti però hanno pensato di affrontare il problema finanziando da sé delle stalle con tecniche di allevamento il più naturali possibile: ho già parlato su queste pagine del gruppo di produttori vitivinicoli langaroli riuniti nel progetto «L'insieme», che ha convinto due giovani a riaprire una stalla di tipo tradizionale con vacche di razza piemontese. Li hanno finanziati e adesso non hanno più problemi di approvvigionamento di letame «di qualità». L'idea mi sembra geniale, lo ribadisco, ma voglio oggi rilanciare facendo un appello a tutti i Comuni del vino del Piemonte.
Secondo me una cosa del genere andrebbe istituzionalizzata: ogni Comune del vino dovrebbe impegnarsi a finanziare l'apertura di una stalla di vacche di razza piemontese, allevate secondo ritmi sostenibili, per produrre ottima carne da un lato, ma anche letame che serva a "curare" i loro terreni, la vera fonte della loro ricchezza. Lo chiedo ufficialmente e mi aspetto risposte: una volta le aziende del vino avevano tutte una stalla aziendale; oggi il successo dei vini piemontesi nel mondo ha fatto dimenticare questa diversità produttiva, che era funzionale al mantenimento del territorio.
Penso che le stalle comunali (mi sembra proprio un bel nome per il progetto) sarebbero un ottimo modo di dimostrare da parte delle amministrazioni locali il proprio attaccamento al territorio, ma sono anche convinto che i vignaioli ne sarebbero entusiasti. Oltre che una cosa più che sensata, penso anche che questo sarebbe un curioso modo di fare promozione, e si potrebbero unire i piaceri di una gastronomia tradizionale legata all'ottima carne piemontese con i vantaggi ecologici.
Dico di più: perché non pensare, esattamente come hanno fatto quelli de «L'Insieme », di coinvolgere dei giovani nella gestione di queste stalle? Sono convinto che ci sia una serie di ragazzi che avrebbero voglia di cimentarsi nell'impresa o altri già nel settore che sono sfiduciati dalle difficoltà economiche che inevitabilmente creano gli allevamenti di tipo intensivo. Rivolgo dunque anche l'appello ai giovani, perché ci contattino se vogliono gestire la stalla comunale o se vogliono riconvertire le loro a metodi più naturali e al servizio della comunità locale, salvando una grande tradizione piemontese.
L'appello è quindi triplice: Comuni del vino, giovani e vignaioli. Attendo con curiosità le risposte, che si possono inviare a c.petrini@slowfood.it (arretrato de La Stampa del 25 giugno 2006)
Autore: Carlo Petrini

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