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La Stampa

Nel bicchiere il consumatore vuol trovare oltre alla qualità la storia del vino che beve ... Al recente convegno sul futuro del vino organizzato a Pollenzo, nella sede dell’università degli Studi di Scienze Gastronomiche, sono stati presentati i risultati di una ricerca che una nota cantina del Sud Italia ha commissionato al sociologo Domenico De Masi, professore di Sociologia del Lavoro all’Università La Sapienza di Roma. Tale indagine, condotta secondo il metodo Delhpi - ossia incrociando le osservazioni di un gruppo di esperti in materia interpellati singolarmente, all’insaputa l’uno dell’altro - ha provato a far luce sull’attuale situazione del vino italiano e sui suoi possibili sviluppi.
Vi dirò subito una cosa: con tutta la stima e l’affetto che nutro verso il professor De Masi - persona squisita e sinceramente sognatrice, tra le altre cose - la ricerca non ha portato a conclusioni di portata «rivoluzionaria» tali da scardinare le convinzioni che noi di Slow Food abbiamo da tempo. Il che da un lato mi consola, a ben pensarci: vuol dire che, nonostante il progressivo allargamento di orizzonti verso altre discipline e altre materie,il comparto vino resta elemento importante della nostra analisi, delle nostre riflessione e della nostra azione.
A quali conclusioni arriva, dunque, la ricerca di De Masi? A voler essere molto sintetici, il rapporto parla di un sempre più stretto binomio vino-cultura; di un legame inscindibile vino-ambiente; di un sempre maggior valore attribuito alla formazione e alla comunicazione enologica.
Sul primo punto credo che ormai siamo tutti d’accordo: è sul legame virtuoso con la storia, con la tradizione sapientemente aggiornata, con l’eredità dei nostri padri, che si gioca una fetta importante del consenso enologico italiano ed europeo in genere. Ancora una volta mi preme ribadire che qui, tra i cru di Langa, all’ombra delle abbazie in Borgogna, lungo le rive scoscese della Mosella, spira forte il vento della cultura enologica. Altrove è industria, asettica e apolide come lo sono gli “oggetti” cui dà forma. Sul rapporto con l’ambiente, sono lieto che De Masi concordi ancora una volta in pieno con noi: il consumatore responsabile di domani non si accontenterà più del buon bicchiere. Vorrà il bicchiere che racconta di un rapporto sostenibile con la vigna - magari anche solo perché si è recuperato un vecchio vitigno - e che non è passato attraverso autentici “massacri” in cantina. Vorrà un bicchiere col “pedigree”, se mi si passa l’espressione, intendendo con questa una conoscenza accurata sull’origine, il percorso e la logica che ha portato quei grappolo a diventare bottiglia da bere. Infine, il discorso formazione e comunicazione. Su questo punto vorrei scindere.
La formazione sarà sempre più lo strumento indispensabile per arrivare a quel vino che possiamo definire buono, pulito e giusto di cui si legge tra le righe della ricerca come di un «afflato» sempre più forte e condiviso. Se le scuole enologiche, se la miriade di corsi sul vino, se l’opera incessante di istituti pubblici e privati non sfociano nella creazione di una nuova classe di “tecnici” preparati e sensibili, coscienziosi e motivati su queste tematiche di sostenibilità e difesa del nostro patrimonio enoculturale, allora sarà stato tutto fiato - e risorse, e tempo - sprecato.
Per non parlare di chi mastica vino sui quotidiani, sul profluvio di riviste specializzate, sulle guide di settore: se questi comunicatori non imparano un nuovo linguaggio, se non affinano la loro capacità ed esperienza alla luce dei fermenti che stanno scuotendo il settore, chi potrà informare in modo adeguato e serio il nuovo consumatore, che a me piace chiamare co-produttore? Di sicuro non quel consesso di “cervelli” che, proprio in questi giorni d’estate, impazza negli spot televisivi di una popolarissima marca di vino a basso costo, disquisendo di tecniche produttive e di invecchiamento, ma tralasciando completamente l’aspetto principale della questione: la provenienza delle uve, la loro qualità e sanità, il rapporto con la terra di origine e con chi la lavora. Come vedete, tanti stimoli, e poco spazio per delineare scenari peraltro molto complessi. Ma la riflessione continua, anche su queste pagine. (arretrato de La Stampa del 20 agosto 2006)
Autore: Carlo Petrini

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