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La Stampa

Nasce il Nebbiolo a stelle strisce. La scommessa vinta da un a squadra italiana nella terra del tabacco ... “Trent’anni fa eravamo in pochi a crederci, ma oggi i risultati sono questi”, Gianni Zonin accarezza un grappolo maturo: Nebbiolo, e più in giù i filari sono carichi di splendida Barbera. Due omaggi al Piemonte in questa fetta di Virginia che si chiama proprio cosi: Piedmont. Prima sono venuti i Cabernet, i Merlot, gli Chardonnay, vitigni internazionali per approcciare i consumatori locali con un linguaggio di gusti che già conoscevano, poi il salto verso i due grandi autoctoni italiani trasferiti qui, con un successo inimmaginabile in vigna e in cantina.
L’unico a pensare al vino in Virginia, prima di Zonin, era stato Thomas Jefferson, terzo Presidente degli Stati Uniti, un uomo che incarnava la versatilità enciclopedica dell’Illuminismo: avvocato, botanico, agricoltore, urbanista amante del Palladio. È proprio il celebre architetto vicentino che lega Jefferson a Zonin. Nei primi Anni ’70 l’imprenditore vitivinicolo italiano era venuto ad ascoltare un ciclo di conferenze sul Palladio dell’amico Mario di Valmarana, docente all’Università di Charlottsvilles, città in cui nel ‘700 il Presidente americano disegnò e fece costruire un quartiere degli studi e un ateneo in stile palladiano. Durante il suo soggiorno Zonin sentì dire che Jefferson aveva tentato per qualche tempo la coltivazione della vite, spinto dall’amico toscano Filippo Mazzei, conosciuto quando era Ambasciatore degli Stati Uniti a Parigi.
Un sogno interrotto da difficoltà tecniche unite ad un momento di crisi economica. Per Zonin fu una rivelazione: da tempo pensava di creare una testa di ponte per il suo gruppo negli Usa, ma era titubante perché la vitivinicoltura americana era tutta concentrata in California, area che lui valutava troppo distante per le sue strategie commerciali. Il suggerimento che gli veniva dal tentativo di Jefferson lo fece decidere per la Virginia. Ma questa era terra di tabacco e gli inizi non furono facili, c’era chi lo prendeva per matto e questo italiano intraprendente che voleva sconvolgere le tradizioni del più antico stato americano proprio non piaceva. Tanto più che aveva acquistato i terreni su cui sorgevano i resti della villa (naturalmente palladiana) disegnata da Thomas Jefferson per l’amico James Barbour, Governatore della Virginia. Zonin ovviò lasciando aperta al pubblico l’area della costruzione e raddoppiando gli sforzi per avviare l’azienda, con l’aiuto di Gabriele Rausse che oggi è responsabile dell’orto botanico della storica villa jeffersoniana di Monticello.
Dai primi passi si arrivò ai primi successi e poi ancora ad un’affermazione che tolse la parola anche ai più scettici, quando, nel 1995, uno Chardonnay di Barboursville - si chiama così la tenuta americana di Zonin - entrò nella lista dei vini della Casa Bianca. Oggi Barboursville è una realtà con 80 ettari di vigneto da cui si producono 500 mila bottiglie l’anno guidata da Luca Paschina e l’azienda ha fatto scuola, tanto che, in questo Stato dove dai tempi di Jefferson non si vedeva più una vite sono nate ben 104 cantine sulla scia del successo di Zonin. Quasi una seconda colonizzazione della Virginia, passata dal tabacco al vigneto. Venerdì scorso Gianni Zonin e la moglie Silvana, con i figli Domenico e Francesco, hanno organizzato una grande festa per celebrare i trent’ anni di Barboursville, c’erano molte personalità compreso il Governatore dello Stato che qui orgogliosamente viene ancora chiamato “The First Colony”, a ricordare la sua primogenitura nella fondazione di quelli che sarebbero diventati gli Stati Uniti. Si è brindato con “Octagon”, un assemblaggio di Merlot e Cabernet, che costituisce l’ultima perla della collezione realizzata con la supervisione dell’enologo Franco Giacosa. Anche il nome di questo vino s’ispira al disegno di un edificio progettato dal Presidente-Illuminista che vedeva lontano perfino in fatto di vigneti.
“Jefferson aveva proprio ragione a piantare le viti in Virginia” - commenta Gianni Zonin - “lo dimostrano i risultati ottenuti in questi trent’anni, ma anche il fatto che Barboursville è sullo stesso parallelo di Napa Valley in California, e della Sicilia, patrie di vini eccellenti”. E il nome Piedmont, omaggio alla catena degli Appalachi che si staglia alta all’orizzonte, non poteva che essere di buon auspicio per chi ha allargato la frontiera americana del vino. Piedmont, presto terra di nebbioli e barbere “emigrati” dal nostro Piemonte. Due vini a stelle e strisce, ma con le anime dell’Albese e dell’Astigiano, creati da una squadra tutta italiana. (arretrato de La Stampa del 27 agosto 2006)
Autore: Vanni Cornero

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