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La Stampa

Il vino made in Italy fa impazzire i giapponesi ... Le bollicine (+ 46,4%) tirano la volata export. Il Vinitaly vola a Tokyo, la concorrenza si batte se si offre il connubio tra qualità e tradizione... Stupefacente Giappone. Nel Paese del Sol Levante non esiste alcuna traccia di tradizione enologica, ma più di due terzi degli abitanti sopra i 18 anni bevono vino. Spalmati sull’intera popolazione (127 milioni di persone), i consumi medi annuali sono, almeno per ora, modesti (2 litri a testa), ma tra gli habituè giapponesi di rossi e bianchi la media sale a livelli europei. Tant’è vero che nei primi sette mesi di quest’anno l’export italiano divino in Giappone ha superato i 55,5 milioni di euro, contro i meno di 52 dello stesso periodo 2005, percentuali che, tradotte in liquido, equivalgono a oltre 16,9 milioni di litri, rispetto ai 15,3 del periodo gennaio-luglio 2005. E piacciono molto le bollicine Made in Italy, le cui importazioni, sempre nei primi sette mesi del 2006, sono cresciute del 46,4% in volume rispetto allo stesso periodo 2005, arrivando a circa 174.000 ettolitri, mentre, in denaro, si è passati da 5,2 a più di 6,8 milioni di euro. Premesse ampiamente sufficienti perché Tokyo fosse inserita nel calendario di “Vinitaly Tour” in Estremo Oriente. Quello di quest’anno è un debutto che vedrà una sessantina di aziende italiane protagoniste di un workshop commerciale organizzato con 500 tra importatori, distributori, stampa e opinion leader giapponesi all’Aoyama Diamond Hall Hotel. Contemporaneamente sono in programma alcuni seminari, organizzati in collaborazione con Buonitalia, la società di promozione dei prodotti agroalimentari del Mipaf, e di degustazioni dedicate ai vini siciliani e veneti, a cura rispettivamente dell’Istituto regionale della vite e del vino della Sicilia e dell’Unione consorzi vini veneti doc.
Il “made in Italy” in bottiglia è nella fascia più alta nelle preferenze dei giapponesi, particolarmente attenti alla qualità e alla cultura di quel che consumano. “Abbiamo scelto i vini italiani - spiega Naohisa Muto, presidente di Clio International, che da 12 anni importa i prodotti delle nostre cantine - perché sono i migliori in termini di caratteristiche, livello qualitativo, costo, tradizioni e natura delle persone che lo producono e lo promuovono”. Spumanti a parte le preferenze sono per vini corposi, fruttati, sapidi, con sentore di barrique e i canali ideali per la diffusione al momento rimangono ristoranti e alberghi, ma con l’allargamento del mercato giapponese si punta molto sulla grande distribuzione per avvicinare nuovi consumatori a vini diversi da quelli attualmente disponibili. E i produttori italiani che esportano in Giappone hanno capito che qualità e tradizione sono valori importanti se offerti insieme, ma devono essere compresi da chi compra, affinché presenti coerentemente il prodotto. Ne è convinta José Rallo, che con i vini di famiglia firmati Donnafugata ha maturato una lunga esperienza nel Sol Levante: “È grazie ad etichette ricche di storia che siamo riusciti ad agganciarci ad eventi di alto livello culturale, con una grande visibilità per il marchio ed il prodotto”.

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