02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

La Stampa

Il moscato è diessino il prosecco leghista ... Anche i vitigni hanno un’inclinazione ideologica: lo sostiene Andrea Scanzi in “Elogio dell’invecchiamento” e propone un “Parlamento del vino”... La mortadella è comunista. il salame socialista, il prosciutto crudo democristiano, la coppa liberale, la finocchiona è radicale. Il prosciutto cotto è fascista”. Lo sosteneva Francesco Nuti in Caruso Pascoski di padre polacco. Anche a me piace credere che ogni alimento, ogni prodotto, sottenda un’inclinazione ideologica. Che siano espressione della loro terra, che abbiano deciso di “venire” così, come le mangiamo e le beviamo.
Nulla è più politicizzabile del vino. E non parlo della bottiglia in sé o del vetusto dibattito - tipico di una certa vetero-sinistra - per il quale discernere di vino, come una volta di calcio, equivale all’essere filofranchisti. Parlo, più esattamente, del vitigno. Se l’Italia è per varietà il più grande parco ampelografico del mondo, possiamo immaginare il terroir come uno sterminato Parlamento. Ogni bottiglia che scegliete è un’ ideologia che sposate. Ogni gusto che vi comunica il vino non è per caso: è perché la vigna, e il frutto, e il vinificatore (che è solo il terzo a votare), hanno voluto cosi.
Se ogni vitigno ha un’ideologia il pinot nero è il vitigno Kiarostami (o Kaurismaki, o il 99 percento dei registi premiati al Festival): non lo capisco, quindi mi piace. Il pinot neo è anarchico. Rifiuta qualsiasi imparentamento elettorale, esige di essere vinificato in purezza e mal sopporta il cugino povero spumantizzato. È incostante, elitario, intellettualoide. Se fosse uomo, sarebbe un Bakunin scagliato contro la modernità.
Il nebbiolo è sabaudo, monarchico. Al referendum del ‘46 non avrebbe votato Repubblica, e in più di sessant’anni non ha mai cambiato idea. È diffidente del nuovo e manderebbe al confino coloro che in nome della “guerra del Barolo” ne hanno messo in discussione la propensione - pur’essa ideologica - all’invecchiamento.
Il sangiovese, non me ne voglia, è democristiano. Ha sempre la maggioranza. Piace a tutti, lo trovi ovunque e il suo governo (alla Toscana) non cade mai, a conferma del vecchio detto per il quale moriremo democristiani. Come i reduci scudocrociati, dopo Tangentopoli - che per il vino è stato Metanopoli - si è scisso in partiti e partitini. Il sangiovese toscano, a sua volta spezzettato in vari tronconi (Brunello, Morellino, Nobile...), si è diviso tra Partito Popolare (Chianti Classico) e Forza Italia (i Supertuscans imparentati con cabernet e merlot). In Umbria, più austero e meno disposto al dialogo, sarà un teodem associato a Rocco Buttiglione (mi scusino gli amici del Torgiano Rosso Riserva). Nelle Marche, più aggraziato, si sposerà con il Montepulciano d’Abruzzo per garantirsi un allargamento della base elettorale, come il partito di Pier Ferdinando Casini.
Dicono che ormai anche il sangiovese americano è competitivo: se così è, sarà il Follini dei sangiovese, spensierato e trasversale, buono per ogni uvaggio e crisi di governo. Il merlot, facile, è conformista. Insuperabile nel salire sul carro del vincitore. Mellifluo, accomodante, spesso senza identità.
Il Lambrusco è proletario, fa l’operaio da una vita, crede ancora negli scioperi e si illude che l’Emilia sia rimasta al tempi del Novecento di Bertolucci (e che D’Alema, prima o poi, dirà qualcosa di sinistra).
Il cabernet franc è verde, ecologista. Nessuno come lui ostenta fin dai profumi l’appartenenza alla terra, la sua matrice vegetale, le “note verdi”. Non gliel’ho mai chiesto, ma credo che il cabernet franc sia il vino preferito da Beppe Grillo.
Il Prosecco è leghista, danaroso, poco incline alla multirazzialità. Va d’accordo solo con un’altra etnia, il verdiso, che ne è comunque solo il portaborse (senza portafoglio).
L’uva di Troia è il re dei mediani. Il nome della sua Doc è Cacc’e mmitte, che in pugliese vuoi dire “togli e metti”, cioè - nello specifico - un continuo ricambio e addizione di uve al mosto in fermentazione. E’ un altro vitigno operaio, che non ha mai smesso di lavorare in miniera e che si sente dimenticato dal Nord. Per questo, alle elezioni, non vota.
Il primitivo è mastelliano. Lo so che è forte come associazione, ma il primitivo è un vitigno facile e un po’ bagascia, ingentilito, che a seconda del luogo - e della discussione - cambia nome e schieramento: primitivo, zinfandel, plavac mali. Non so perché ma il primitivo, il merlot degli autoctoni italiani, secondo me era d’accordo con l’indulto.
Il syrah è di destra e non ha mai digerito la svolta di Fiuggi. È un vitigno nazionalista, patriottico, che vota Alleanza Nazionale in mancanza di meglio. Virile, austero. È un balilla cresciuto, è il cuoco di Salò. Il Negroamaro è missino, per pura associazione semantica. Il Picolit, malato com’è di acinellatura, di aborto spontaneo, non può che essere radicale. Sempre in minoranza, sempre pro-aborto.
L’aglianico è borbonico. Il Pignolo è dell’Italia dei Valori, cocciuto come Di Pietro. Il Muller Thurgau vota Forza Italia. Nato da un esperimento di laboratorio, per mere esigenze personali (di un ricercatore, in quel caso), non è né carne mi pesce. Non ha il fascino del Riesling, né la rusticità del Sylvaner. Non gode di buona critica. Sul suo passato si sollevano dubbi. Nessuno dice di berlo. Ma tutti lo bevono.
Il Tocai Rosso è Rifondazione Comunista. Un vitigno sufficientemente elitario (cresce solo a Vicenza) per piacere a Bertinotti. Quando però si è saputo che non era altro che un cannonau veneto, e che la produzione non era tale da garantire lo sfondamento del 10 percento su scala nazionale, in sede ci sono rimasti male. Il trebbiano è qualunquista. L’uva rara, lo schioppettino e il tazzelenghe sono il gruppo misto al Senato, le minoranze etniche, quelli di cui ci si ricorda solo quando va eletto il Presidente della Repubblica o salvato un governo di centrosinistra.
Il moscato è diessino, più esattamente veltroniano. Dolciastro, zuccheroso, sussiegoso. Interlocutorio, trasversale, contraddittorio. Più buonista che buono. Al primo sorso sembra piacerti, al secondo ti ha già stuccato. La malvasia è di destra. Lo chardonnay rigorosamente di centro. La barbera ha fatto il Sessantotto e nell’invecchiare si è fatta assumere da Italia 1. Il cabernet sauvignon è Presidente della Camera, il sauvignon blanc (quota rosa) Presidente dal Senato.
La democrazia italiana? Un novello, un beaujolais. Giovane, ineffabile, ballerina. Petillant. Senza pretese.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su