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La Stampa

L’uomo del metanolo. “Ora lavoro solo per me” ... “Povera gente, avessi continuato a mettere lo zucchero... Anch’io però sono uNa vittima”... “Non voglio parlare, porta pazienza”. Perché no? “Perché sono anch’io una vittima”. Giovanni Ciravegna vive ancora nella casa di Narzole, 3.500 abitanti, colline di Langa. Ha 79 anni. Quando ne aveva 57, fu protagonista, con il figlio Daniele, di un disastro: vino al metanolo. 1116 marzo 1996, a Milano, la prima vittima, ne seguirono diciotto, altre decine di persone subirono danni alla vista (fino alla cecità) e varie lesioni. Lui fu condannato in Corte d’Assise d’Appello a 14 anni (quattro condonati), il figlio a 11 anni (quattro condonati). Omicidio colposo plurimo.
Giovanni Ciravegna scontò in tutto otto anni e mezzo. Uscì il 26 maggio 2001. Che dice oggi ripensando a ventidue anni fa e leggendo nuovi scandali di vino? Viene adagio al cancelletto della squadrata e umile casa, tapparelle abbassate. Stiracchia un maglione grigio, parla un dialetto che a tratti si ingolfa: “Sono anche io una vittima”. Gli si ricordano diciannove persone sotto terra e altre cieche. Lui: “Povera gente. Che dolore”. Ritorna alla propria sorte: “Avessi saputo, avrei fatto il colpo di scena in tribunale”.
Colpo di scena? “Sì. Non volevo certo fare del male e nemmeno imbrogliare”. Gli scappa di bocca: “Mio Dio, avessi continuato a mettere un po’ di zucchero...”. E invece? “Invece comperavo da fuori (fa il nome di tre aziende, ndr) e lì sono caduto nell’intreccio, il metanolo al posto dell’etanolo. Ma io non ne sapevo proprio niente, lo giuro. Sono rimasto a bocca aperta. Non ci credevo”.
E’ preso dalla memoria: “Sono stato imbrogliato. Che intenzioni cattive potevo avere? Siamo matti? Avevo in cantina vino per un miliardo di lire. Che bisogno avevo? Ho preso prodotti da fuori e sono rimasto fregato. Dovevo dirlo al tribunale. E’ andata così”. Signor Ciravegna, pensa ancora a quei giorni, a quelle persone? “Sono vent’anni che non dormo. Ho sempre solo lavorato. Non ero preparato a tutto questo. Mi dispiace tanto per loro”.
Nei bar - dove in tanti giocano alle carte - chi ha indicato la strada per trovarlo parla di lui come di uno sfortunato, sventurato. Qualcun altro, con faccia sconsolata: “Prima di quei fatti c’erano qui 120 aziende, quella storia ha gettato il panico, ne sono rimaste quaranta”. Nessuna parola contro di lui, però invocano: “Fine con quella storia. Bastano gli scandali di oggi”.
Giovanni Ciravegna saluta dal cancello. Che pensa dei nuovi scandali? “Ho sentito. Creda a me: se il vino è fatto come va fatto non c’è da bere fino al sabato”. E poi. “A fussa mac d’ua...”. Fosse solo di uva. Che fa e che beve lei, signor Giovanni? Si allontana: “Do una mano a un amico e ne faccio un po’ per me. A’ rvedse”. Arrivederci.

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