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La Stampa

Come ti smonto il vino con il placet di Bruxelles ... Si può sottrarre alcol e modificarne le caratteristiche... La riforma dell’Ocm vino, che detta la nuova disciplina comunitaria sulla produzione, è operativa da ieri. E non mancano le perplessità.
I regolamenti attuativi, ad esempio, ammettono alcune nuove pratiche enologiche. Tra questi, la dealcolazione e l’uso di tecniche per acidificare e deacidificare. Due processi che consentono di modificare la natura dei vini; due pratiche dettate da una linea che, come dice Giuseppe Martelli, direttore generale di Assoenologi e presidente del Comitato nazionali vini del ministero delle Politiche agricole, “è fatta principalmente dai Paesi consumatori e non da quelli produttori. Paesi che spesso intendono il vino come una qualsiasi bevanda o lo vedono solo come un prodotto commerciale”.
Prendiamo la dealcolazione: che fine fa l’alcol sottratto al vino? Non c’è il rischio venga destinato ad usi impropri? E poi, scomporre e riassemblare un vino per ridurne o aumentarne l’acidità non può dar modo, in corso d’opera, di correggerne gli eventuali troppi difetti, oltre che le stesse caratteristiche?
Martelli è prudente. “La
liberalizzazione di alcune pratiche enologiche è un’arma che se usata bene può portare a risultati positivi. Ma è a doppio taglio: la labilità dei confini è evidente. Anche una medicina può servire per guarire o uccidere una persona, dipende da quando e come la si usa”. Scendiamo nel dettaglio. “Il rischio che l’alcol sottratto al vino venga destinato ad usi impropri esiste. Meno invasive, invece, sono le operazioni di acidificazione e disacificazione. Mi auguro che i decreti applicativi nazionali che leggeremo nelle prossime settimane siano ben definiti. Sono anche convinto, però, che in Italia queste pratiche si useranno bene, visto che il ministero è orientato in tal senso. Per gli altri Paesi, però, il dubbio è lecito”.
Riallargando il discorso, alla riforma più in generale, Martelli parla di “pasticcio”. “Per noi la nuova normativa ha pochi aspetti positivi e molti negativi. Si voleva ad esempio abolire la pratica dello zuccheraggio, in Italia non permessa, e siamo arrivati a far si che tutti possano quasi far tutto, anche coloro che non hanno le caratteristiche di base per produrre vino. E ancora, si voleva esaltare la vocazionalità, e si è arrivati ad impostare una semplificazione che tiene poco conto delle diversità e guarda troppo al consumatore internazionale evoluto a cui tutti tendono. Consideriamo però che il 70% dei consumatori evoluto non è”.

C’è poi la questione dei controlli di qualità. D’ora in poi sarà Bruxelles a decidere sul riconoscimento di una nuova Doc o Igt (anziché il Comitato nazionale vini Doc), mentre la parte certificativa non sarà più svolta dai Consorzi di tutela, ma sarà affidata a enti terzi. “La situazione deve essere ancora definita - spiega Martelli -. Credo che l’orientamento vada verso un “accomodamento” che conceda alle denominazioni già sottoposte al piano controlli (il 70% della produzione attuale a denominazione d’origine) alcuni mesi per il trasferimento delle attività dal Consorzio al nuovo organismo deputato al compito. Per gli altri, forse verrà permesso, per consentire le procedure tecniche e d’informazione ai produttori, un periodo più lungo attraverso l’autocertificazione da parte dei produttori stessi”.
C’è un problema. “Fino a quando una denominazione non soddisferà la nuova Ocm, non si potrà certificare e quindi commercializzare il prodotto. Da qui, il rischio di paralisi. Assoenologi aveva non a caso proposto di procastinare l’entrate in vigore della riforma di un anno. Non siamo stati ascoltati”.

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