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La Stampa

… Il vino torna a girare il mondo… Per la prima volta i consumi pro-capite scendono sotto i 40 litri… Fedagri: l’Italia beve di meno, ma ci sono nuove vie sui mercati esteri… Per la prima volta la quota di consumo pro-capite di vino in Italia scende sotto la soglia dei 40 litri, con un calo del 30% dalla fine degli Anni ‘80. E ci sono “giacenze rilevanti nonostante il trend di contenimento della produzione” e prezzi all’origine in calo. “In questa situazione esportare non è solo un’opportunità-, ma un obbligo”, spiega Adriano Orsi, presidente del settore vitivinicolo di Fedagri-Confcooperative che, con le sue 425 aziende cooperative rappresenta più della metà del fatturato del sistema vitivinicolo italiano. La necessità di “intercettare” la crescita della domanda di vino, soprattutto da parte del mercato Usa (e in prospettiva di Cina e India) è dettata anche dal fatto che le misure per sostenere il mercato nazionale, come la distillazione ad uso alimentare, sono in via di esaurimento e soprattutto “valgono poco perché se è vero che si continua a distillare lo si fa sempre di meno”. Tutto facile, allora? No, come spiega Maurizio Gardini, presidente nazionale di Fedagari: “Per cogliere queste opportunità occorre che le nostre aziende siano sufficientemente strutturate. Se si è privi di dimensioni adeguate, è impossibile riuscire a presidiare i mercati d’oltremanica”. Da qui la necessità di “favorire aggregazioni e incorporazioni di cooperative per facilitare l’approccio ai mercati esteri”. L’export del 2009 valeva attorno ai 3,5 miliardi di euro, nel primo semestre dell’anno la crescita è stata del 7,6%. Sui 13 mercati più significativi il vino italiano cresce in dieci aree con punte del +81% in Brasile e del +66% in Russia. La Germania con 394 milioni di euro tiene con un +2,7%, incalzata dagli Stai Uniti a 382 milioni con un più 13% che porterà al probabile sorpasso come primo mercato. In controtendenza negativa solo Inghilterra, Svezia e Corea del Sud.
Tra il 2009 e il 2010 sono state le regioni del Sud a trainare l’export in termini percentuali. Ma in un futuro prossimo bisognerà fare i conti con “una pericolosa deregulation produttiva prevista dalla riforma del mercato e dalla revisione della politica agricola comune europea rischiano di indebolire il comparto in una fase congiunturale delicata”, denuncia Ricci Curbastro, presidente cli Federdoc, che rappresenta le Denominazioni di Origine del vino italiano. Che cosa succede? “La liberalizzazione degli impianti senza alcuno strumento di gestione della produzione rischia di destabilizzare l’economia di molte regioni viticole in Europa, in particolare nelle zone di produzione a Denominazione di Origine più importanti con una proliferazione dei vigneti e delle produzioni”, spiega Curbastro. La superficie vitata del Chianti, ad esempio, potrebbe raddoppiare da 17 a 35 mila ettari. Un allarme condiviso da Giuseppe Martelli, direttore generali dell’Assoenologi: “E’ molto difficile sfuggire ad un regolamento comunitario approvato da una maggioranza di paesi che hanno tutto l’interesse a sviluppare al massimo il proprio settore vitivinicolo”. Lamberto Vallarino Gancia, presidente di Federvini, però, invita a non fare “allarmismi perché la situazione è in divenire”. Intanto si chiariscono i contorni delle importazione di vino extracomunitario in provincia di Cuneo, messe in evidenza da Coldiretti. La multinazionale Diageo che lavora negli ex stabilimenti Cinzano di Santa Vittoria, lo usa per produrre bottiglie destinate solo al mercato estero che “vengono commercializzate senza alcun riferimento all’italianità”. E la Mgm assicura di aver importato minimi quantitativi di prodotti dall’Ue la cui perfetta tracciabilità non lascia scampo ad operazioni “creative”, dunque non ci sono richiami all’italianità”

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