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Allegrini 2024

La Stampa

Vino, arriva la carica dei 49 italiani ... Cosa cercano e cosa offrono le nostre cantine alla più importante degustazione del mondo... Gli ultimi calici avranno finito di lavarli questa mattina, dopo un tour de force estenuante. Sono i diecimila e più bicchieri che per tre giorni, da giovedì a sabato, hanno scintillato tra le mille luci di New York, contenendo i migliori vini al mondo. Dai grandi “chateaux” francesi ai top d’Australia, dai migliori spagnoli ai californiani: erano tutti lì, disposti fianco a fianco tra il quinto e il sesto piano del Marriott Marquis. Un melting pot enologico senza eguali, un campionato mondiale delle bottiglie selezionate ogni due anni da “Wine Spectator”, a tutt’oggi la voce più autorevole nella critica mondiale e forse l’unica ancora in grado di orientare parte del mercato del vino. Iniziare alle 18 una degustazione con uno Champagne Cristal 2005 di Roederer e terminare alle 22 con un vino da dessert come l’austriaco Trockenbeerenauslese di Kracher; passare da uno Chardonnay australiano di Leeuwin ai sorprendenti vini libanesi di Chateau Musar; sorseggiare un Riesling tedesco di Dr. Loosen e poi un Napa Valley di Opus One non sono cose da tutti i giorni. E infatti per varcare la soglia della Wine Experience c’è chi ha pagato duemila dollari, se ha scelto il pacchetto completo che comprendeva la cena di gala con l’intrattenimento musicale di John Legend. E gli italiani? Per una volta, possiamo camminare a testa alta. Dei 264 vini scelti per questo risiko delle etichette, ben 49 sono arrivati dal nostro Paese, accompagnati come figli dai produttori in carne e ossa. Toscani e piemontesi i gruppi più nutriti, con Brunello, Chianti, Super Tuscan, Barolo e Barbaresco in prima fila. E metteva un certo orgoglio vedere Angelo Gaja e Piero Antinori trattati come star, con la gente in fila a chiedere una foto e una firma sulla bottiglia. “Un evento estremamente stimolante, perché New York offre un pubblico senza eguali” è la sintesi di Gaja, unico italiano con uno spazio tutto suo nei seminari mattutini: l’ha condiviso con la figlia Gaia, 33 anni e dodicesimo posto tra le “più potenti donne del vino”.
il posto d’onore nei seminari qualche stagione fa era toccato alla cantina albese Pio Cesare. “Siamo tra i pochi a essere sempre stati invitati alla Wine Experience, fin dalla prima edizione del 1981 - ricorda Pio Boffa di Pio Cesare - e sedersi sul palco davanti a più di mille persone che sorseggiano le tue parole e il tuo vino è una scarica di adrenalina pura, un traguardo ambito da chiunque faccia il nostro mestiere”. Anche perché gli Stati Uniti sono e resteranno ancora per anni il mercato migliore per i vini di qualità. I Marchesi de’ Frescobaldi si sono presentati all’appuntamento con tre etichette: Mormoreto, Masseto e Ornellaia. Allegrini, Masi e Zenato hanno tenuto alta la fama dell’Amarone, mentre Jermann e Felluga hanno fatto scoprire i bianchi friulani. L’avellinese Piero Mastroberardino sottolinea che “la mia famiglia ha iniziato a esportare i primi vini in America nel 1878. E oggi, dopo tante generazioni, gli aeroporti sono le nostre seconde case”. Per tre giorni, l’eccellenza del vino italiano si è trasferita nel cuore di Manhattan e ha intercettato il gotha del “global wine business” - importatori, ristoratori, enotecari, presenzialisti della mondanità e autentici appassionati. Considerati i prezzi e lo stile serioso dell’evento, non è stata una sorpresa non vedere traccia della generazione dei Millennials, i nati tra il 1980 e il 2000 su cui tutti fanno grande affidamento come nuovi consumatori. “Conquistarli è il prossimo obiettivo” dicono i produttori. Magari togliendosi la cravatta e gettandosi nella mischia dei wine bar.

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