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La Stampa

Alessandro Ceretto: “Il mio Barolo biodinamico è come un figlio” ... “Alessandro Ceretto lei è la terza generazione di Ceretto a produrre vino nelle
Langhe fin dagli Anni 30...
“Sì, il nonno Riccardo è stato il precursore. Dovendo abbandonare la campagna perché la famiglia, troppo numerosa, non poteva garantirgli un futuro, si trasferì ad Alba dove iniziò la sua avventura nel mondo del vino. Oggi siamo proprietari di 160 ettari di vigneti nelle migliori posizioni”.
Che cos’è la Ceretto oggi?
“E’ una casa vinicola produttrice di tutti i vini delle Langhe: Dolcetto, Barbera, Nebbiolo, Barbaresco e Barolo per quanto riguarda i rossi. Per il bianco abbiamo investito nel Roero, a 5km dall’altra parte del Tanaro, dove il suolo più sabbioso è adatto alla produzione di uve bianche come l’Arneis che noi chiamiamo Blangé. Oggi rappresenta circa il 50% del nostro fatturato. Produciamo anche Moscato nella zona di Santo Stefano Belbo, il punto di origine della famiglia”.
Qual è il vostro vino principe?
“I vini principe sono il Barolo e il Barbaresco, entrambi a base Nebbiolo. La differenza è prettamente geografica: il Barolo è più conosciuto perché si producono 12 o 13 milioni di bottiglie l’anno, il doppio circa del Barbaresco. Sono comunque vini equivalenti
e influisce molto di più il Cru (vigneto)
e l’annata sulla qualità del vino”.
Il Barolo è uno dei grandi vini mondiali?
“Sì, perché è unico. Lo sposalizio dell’uva Nebbiolo con il suolo della zona permette di ottenere dei prodotti irripetibili nel mondo. E’ un vino maschile, irruento in gioventù che si ammorbidisce invecchiando”.
Quante bottiglie producete?
“Tra le 800 mila e il milione. Siamo una cantina di medie dimensioni”.
Si tratta divini molto costosi?
“Una bottiglia di Barolo, in media costa 40-50 euro, il Barbaresco circa il 20% in meno. Mentre un Dolcetto o una Barbera costano tra i 5 e i 10 euro. I Baroli e i Barbareschi grand cru possono raggiungere fino a 150-200 euro”.
Dove si vendono maggiormente?
“Negli Stati Uniti, il nostro principale mercato estero, poi in Europa e in Asia”.
E i vini americani, africani e australiani?
“Chi copia l’Italia e la Francia non va da nessuna parte. Chi ha capito che il vino è legato al territorio d’origine avrà futuro. Il vino è il suo territorio”.
I margini di guadagno sono alti?
“La fortuna di noi Ceretto è il portafoglio di vigneti di prima categoria in proprietà. Oggi sarebbe economicamente insostenibile acquistare, perché il prezzo dei terreni ha raggiunto cifre esorbitanti. La sfida è cercare di produrre i nostri vini con un approccio biologico. Naturalmente i vini di alta gamma sopportano meglio i costi più elevati dovuti alla conduzione in biodinamico. Io comunque ho deciso di praticare il biologico, senza l’utilizzo di concimi chimici, anti-parassitari e pesticidi, sull’intera produzione, compresi i vigneti da cui produciamo i vini meno cari. Ho iniziato la sperimentazione nel 2009 e a distanza di 6 anni ho la certezza che non tornerò indietro”.
Perché questa lotta ai pesticidi?
“Non mi convince assolutamente che i loro residui non danneggino la salute dei consumatori”.
Siete gli unici a coltivare cosi?
“No, per fortuna molti si stanno muovendo in quella direzione, anche perché sta diventando utile a livello di marketing. Io credo di essere uno dei pochi nelle Langhe ad avere provato il metodo biodinamico, che è molto più severo e costoso”.
I vini sono di un sapore diverso cambiando il metodo di coltivazione? “Hanno sapori più peculiari, più legati al territorio e alle caratteristiche dell’annata. Come se facessero risaltare la loro identità. Io ho iniziato pensando che, se con il metodo biodinamico si otteneva la stessa costanza nella qualità sarebbe stato un enorme successo evitare i residui chimici: il che è un vantaggio per la salubrità del terreno e naturalmente per il consumatore. Ma ci vuole più attenzione e preparazione. E nelle annate difficili uno sforzo economico più importante”.
Lei come è arrivato a queste conclusioni? Che studi, che esperienza ha fatto?
“Ho studiato la viticoltura e l’enologia tradizionale. Ho viaggiato in diversi Paesi vitivinicoli per fare esperienza, vedere altre realtà e sono tornato con un bagaglio accresciuto e quindi ho iniziato la mia esperienza alla Ceretto nei primi anni 2000. Al Salone del Gusto del 2008 mi è stato regalato un libro di due famosi ricercatori francesi del suolo, Lydia e Claude Burguignon. Qui si sottolineava che l’Ùomo moderno e la tecnica agricola ora praticata stanno favorendo la desertificazione. E’ strano, a scuola non mi avevano insegnato questo. Sono andato a conoscerli. Oggi lavoro con loro e ho capito che una sana agricoltura deve partire dal rispetto del suolo”
Un ritorno alla cultura più antica?
“No, è un ritorno al buon senso. Oggi la tecnologia spinge a vendere sempre più delle novità, dimenticandosi del passato e delle esperienze secolari maturate da chi è venuto prima di noi”.
In futuro i vostri vini saranno migliori?
“Consideri i vini come se fossero i miei figli, come degli esseri umani e quindi. non saprei rispondere alla domanda se l’uomo in futuro sarà migliore”.
La sua famiglia cosa ne dice?
“Il grande pregio della nostra famiglia è il fatto di fidarsi nel passaggio ditestimone a tutti i livelli. Per esempio mio cugino Federico è responsabile
delle vendite, mia cugina Roberta della comunicazione, mia sorella Lisa della parte finanziaria. Questa divisione ha facilitato le cose, impedendo problematiche a livello aziendale”.
Qual è il segreto dei Ceretto?
“Sicuramente è stata la bravura di acquisire negli Anni 60-70-80 vigneti di altissimo pregio e puntare a migliorarci costantemente nella qualità”.
Resisterà il Barolo nel tempo?
“Sì, resisterà solo se non distruggeremo questo fantastico territorio”.

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