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La Stampa

C’è un Istituto a tutela del Vermouth Torino … Le regole in un decreto... Ha un nome - “Torino” - e un’“università”, nata 3 mesi fa, che lo protegge e lo (ri)lancia: il vermut ora è tutelato dall’Istituto del Vermouth di Torino, guidato dal presidente - produttore Roberto Bava. Uno degli obiettivi? “Scoprire, e tirare fuori, il tesoro nascosto”. Vuol dire che i soci - tra loro, big e artigiani assieme: Verto, Bordiga, Del Professore, Carlo Alberto, Carpano, Chazalettes, Cinzano, Giulio Cocchi, Drapò, Gancia, La Canellese, Martini&Rossi, Giovanni Speron, Vergnano e Tosti - indagheranno sulla produzione e sulla sua dimensione. Quantità e qualità. Perché si fa presto a dire vermut, ma poi nel bicchiere (e negli scaffali dei supermercati) le differenze sono tante, a volte troppe. L’istituto protegge quello che risponde alle caratteristiche indicate nel decreto 1826 del 22 marzo 2017, frutto di un percorso iniziato 20 anni fa. Ora il “vermut di Torino” sarà, tra l’altro, l’unico prodotto alimentare a portare in bottiglia la denominazione della città. “Solo cinque anni fa la strada era ancora in salita, mi sentivo un Don Chisciotte - dice Bava -: ora invece vedo vermut di Torino nei locali, negli hotel, nelle caffetterie dove dietro il bancone ci sono i barman più attenti, ma l’idea è di portarlo ovunque, anche in Autogrill”. Bava parla di “vermuttizzazione”. Il valore aggiunto del vermut, che è un pezzo di storia d’Italia (lo amava già Cavour), è la sua universalità, purché sia “di Torino”.

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