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La Verità

Il Rosè di cantina Felluga esce da un atelier della vigna … Vedendolo, ma ancor più degustandolo, credo che Livio Felluga sarebbe contento dei suoi “ragazzi”. Il patriarca del vino italiano, l’uomo che è stato spogliato di tutto da Tito e fu profugo dall’istria come troppi altri italiani che la sinistra, oggi predicatrice di accoglienza, bollò come “traditori” del comunismo, aveva per il vino una specialissima dedizione e sensibilità. Arrivò nei colli orientali del Friuli con i fratelli e la sua innata passione per la terra, privato di tutto ma non dei tre elementi che nessun regime potrà mai reprimere: abilità, coraggio e intelletto. Con quelli, tra Rosazzo e Cormons, ha costruito nei decenni un paradiso enoico. Ormai da anni l’azienda è in mano ai suoi figli e ora anche a parte dei nipoti. È un operare in continuità con Livio - massimo emblema: le etichette inconfondibili con le carte geografiche - ma anche con una continua “innovazione gentile”. È così che Elda (Feliuga) col suo sorriso biondo presenta il Rosè; un vino di alta caratura che rompe la tradizione: solo bianchi di altissimo pregio e i rossi che devono avere charme. Dico subito che questo vino è una sintesi della linea di questa cantina che, nonostante i numeri siano cospicui, lavora ancora come una sorta di atelier delle vigna. Lo ha fatto a Rosazzo con i vini dell’Abbazia, lo conferma con questa bottiglia. Il Rosè nasce da un insolito e personalissimo “taglio” di Merlot, Pinot Nero e Schiopettino. E questa è la firma Felluga: avere sempre una citazione da vitigno di territorio nelle bottiglie. Le tre uve vengono vendemmiate e ammostate separatamente. Così la vendemmia per il Rosè si protrae da inizio settembre fin quasi a ottobre. Le uve vanno in pressatura soffice, contatto brevissimo con le bucce e, invece, accentuata permanenza sui lieviti e affinamento in acciaio. Dopo si fa il blend che riposa in vetro. I risultato è un vino che, al bicchiere, regala sfumature di cipria in un contesto di rosa caldo, al naso sprigiona fiore bianco, rosa selvatica, poi frutti rossi con spiccato melograno in un contesto agrumato. Al palato è croccante, tra il sapido e il frutto, è fresco con ritorno eterno sulla polpa di pesca bianca e litchis. Da aperitivo, da pesce anche robusto, da carni bianche, risotti, cucina speziata o vegetale. Lo trovo incantevole con la trota al burro.

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