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La Verità

Un concerto di Sangiovese sul pentagramma della storia ... Va posto un tema: qual è il vero valore del vino, di questa manifestazione del naturale, interpretata dall’ingegno umano? Si può narrare tutto ciò con le improvvisazioni dei wine blogger, degli influencer che sono la testimonianza più sguaiata della a-valorialità dei nostri giorni? Può darsi, ma allora si facciano bottiglie come profumi, si facciano prodotti cosmetici e lasciamo perdere il vino! Per buona sorte ci sono ancora luoghi dove la sacralità della storia è il primo comandamento e la prima prassi. Uno di questi (sono meno di mezzo migliaio nel mondo, una buona metà in Italia) sta nel cuore del Chianti. Anzi è il Chianti. Ogni volta che mi capita di sorseggiare un’etichetta dei marchesi Mazzei mi commuovo; ser Lapo Mazzei notaro, il primo a mettere in legge il nome Chianti, dialogava con Francesco Datini, che è come dire l’economia che si fa servizio all’uomo, che è come dire assistere al concepimento del Rinascimento. Ogni volta una bottiglia di Fonterutoli mi rammenta quel Filippo Mazzei che dettò a Thomas Jefferson non solo come fare vino in Virginia, ma quel passaggio della Dichiarazione d’indipendenza che sancisce: “Tutti gli uomini sono per natura egualmente liberi e indipendenti”. Bisogna ringraziare Filippo, Francesco e Agnese Mazzei che hanno dopo 26 generazioni gli stessi valori e hanno consolidato il Castello di Fonterutoli (un’ospitalità eccelsa) come ombelico del mondo del vino. Vi dirò che c’è una bottiglia - assieme ai nuovi crudi Chianti Classico, da sballo -che considero l’essenza di questi luoghi: il Concerto. Che, è appunto un concerto di Sangiovese sul pentagramma della storia. Ha nerbo di un Sangiovese purissimo affinato in tonnaux per 18 mesi, è contemporaneo nell’unione con il Cabernet Sauvignon che sta in barrique per un anno e mezzo, impeccabile nella vinificazione e affinamento in legno. E un vino eccelso! Al bicchiere è rubino carico e risplendente, al naso è mora, marasca, viola e poi s’allunga sul tabacco dolce per tornare possente sui toni del querceto con tannini di eleganza impagabile, al palato è carezza all’ingresso, nerbo e ritorno eterno sui toni muschiati. Vino da grande cucina di carne, con selvaggina, con crostini di milza e fegato. Per me basta un pecorino di Pienza autentico e la storia.

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