Social media e mondo del vino: un matrimonio potenzialmente perfetto, perché il nettare di Bacco è “materia emozionale”, è “condivisione”, è “esperienza”, tutte cose che ben si legano con il mondo social. Eppure, “se è vero che le aziende e, in parte, anche i Consorzi, hanno capito che i social sono uno strumento fondamentale, che è un passaggio cruciale, ancora molto c’è da fare. Per esempio iniziando a capire che il numero di follower o fan è importante, ma non determinante, e che conta più la profondità dell’engagement, ovvero il livello di penetrazione e condivisione di un contenuto”. Così a WineNews Paolo Errico, alla guida di “Maxfone” (www.maxfone.it), società leader che si occupa di analisi comportamentale sui social media, e che lavora nel mondo del vino con nomi come Istituto Grandi Marchi, Consorzio Vino Chianti, Castello Banfi, Antinori, Masi, Zenato, Allegrini. Che a WineNews spiega: “i social oggi, più che come strumento di marketing, funzione che ovviamente possono avere, se usati bene devono essere visti come strumenti di analisi, per capire soprattutto quali sono i desideri ed i bisogni della propria community di riferimento, e per ottenere informazioni potenzialmente decisive per pianificare le proprie strategie di mercato”. Strumenti, quelli dei social, a cui tutti guardano finalmente con attenzione, ma che pochi, ad oggi, nel mondo del vino, sanno usare bene: “una ventina di soggetti, soprattutto aziende private, ma anche qualche Consorzio”, spiega Errico. “Su 78 Consorzi del vino, che dovrebbero fare della promozione uno dei punti principali - aggiunge - solo 36 sono presenti su Facebook con un pagina certifica, solo 30 sono presenti su Twitter e solo 7, hanno attivato un programma di digital integration”. E dai dati, per altro in continuo aggiornamento (www.socialmeteranalysis.it), il consorzio top sembra essere quello del Prosecco, ma si stanno muovendo bene anche quelli di Franciacorta e Brunello di Montalcino.
“Ma quello che conta - spiega Errico - è che nel momento in cui si parla di digitale, l’approccio deve essere ragionato, pianificato e articolato. Uno dei problemi che abbiamo noi è fare cultura sulla comunicazione che è completamente cambiata. Va bene il sito internet, ma a questo devo affiancare tutta una serie di nuovi media che mi devono permettere di andare ad incidere su target diversi e generazioni diverse. Per esempio, il nostro osservatorio ci dice che in Usa il media più importante è Twitter, soprattutto tra i 18 e i 54 anni, e dal momento che ho necessità di comunicare con quel target devo essere presente su quel mezzo. Essere presente che, però - precisa Errico - non vuol dire semplicemente aprire un account: specialmente in mercati come quello del vino, devono essere sviluppati quei concetti narrativi che poi devono essere veicolati su Twitter, e far acquisire questa competenza è la parte più difficile, perché ci sono aziende che si stanno affacciando alla digital intergration solo ora”. Social Meter, nei giorni di Vinitaly, ha fatto un monitoraggio, tra l’altro, dei temi più gettonati sui vari social.
“Ed il biologico - sottolinea Errico - ha avuto un grande successo grande in rete, ed è interessante vedere che c’è un’attenzione particolare su questo tema, soprattutto dagli Stati Uniti, ma anche da Francia, Italia e Spagna: quella del bio e della sostenibilità è una tendenza che si sta affermando tantissimo nel mondo del vino, e spesso le tendenze diventano una moda. E, a proposito di Vinitaly, una cosa interessante che è emersa, è che la “lingua universale” sui social, sulla kermesse veronese, è stata l’inglese di oltreoceano”.
Nei giorni di Vinitaly, però, Maxfone ha condotto un’analisi sulle 100 Cantine italiane selezionate da WineSpectator per “OperaWine”, guardando alla presenza sui più importanti e diffusi social media: da Facebook a Twitter, da Youtube a Linkedin a Google+, da Instagram a Pinterest, a Flickr. Secondo l’analisi di Maxfone, più del 70% delle cantine è presente su Facebook e Twitter. Il 30% degli account Facebook presenti, però, è costituito da pagine non certificate. 64 le cantine presenti su Google+, 57 quelle su Youtube, 28 su Pinterest, 25 su Instagram e19 su Flickr. Sul fronte dell’integrazione dei diversi social media, però, solo il 4% delle 100 Cantine analizzate da Maxfone è presente su otto social, il 7% su sette social media, mentre il 55% utilizza da 2 a 5 social. Ma c’è anche un 14% che non è presente su nessuna piattaforma.
Ma, al di là dei dati numerici, la cosa potenzialmente più utile dei social, per i player del vino, spiega Errico, “sono gli strumenti di monitoraggio live come quelli che utilizziamo noi, dai quali riesco a capire, per esempio, se un hashtag su un territorio o su un argomento funziona o non funziona, posso capire le strategie di scelta dei consumatori, e agire di conseguenza. La cosa che funziona meglio è il contatto diretto utente-azienda: l’utente che stappa una bottiglia ama la narrazione di come è fatto il vino, del territorio, e gli piace prendere parte alla narrazione. E quindi tutti i contenuti interattivi vanno bene a livello di engagement, che diventa poi sia strumento di marketing che, soprattutto, di analisi per capire quali sono i comportamenti e le necessità della mia community di riferimento. Ed è importante perché ho informazioni strategiche di prima mano, non mediate”.
Un mito da sfatare, spiega ancora Errico, è quello legato alle “dimensioni”: “la cosa importante non è il numero di follower o di fan, che di certo conta, ma che è un po’ anche il “doping” dei social network, L’importante è avere follower e fan giusti, e avere un livello di engagement elevato. Avere un numero di fan altissimo ma scarsa profondità è inutile, i fan si possono comprare su Ebay a pochi dollari. E il risultato è che “mi faccio vedere grosso” ma perdo la profondità di analisi, che è il vero plus dei social. Anche Google, per esempio, sta utilizzando algoritmi che ti posizionano in alto nelle pagine di ricerca secondo le condivisioni e l’interesse che il contenuto che hai messo in rete ha generato. A questo proposito, è fondamentale che le aziende si mettano personalmente in campo: posso dire scientificamente che è maggiore l’engagement di chi gestisce le cose direttamente, rispetto, per dire, ad una cantina siciliana seguita da uno studio di Milano. Le aziende che hanno maggiore successo sui social sono quelle che si sono strutturate e seguono direttamente questo aspetto, lavorando sull’engagement, e ci sono aziende che magari hanno meno fan ma un contenuto condiviso centina di volte, che conta di più di avere tantissimi fan ma contenuti poco condivisi”.
Altra cosa fondamentale, spiega Errico, è “ fare qualcosa perché non perché lo fanno gli altri, ma perchè ho qualcosa da raccontare che esiste davvero. Un hashtag su Twitter, per esempio, è una “spremuta narrativa”, ma deve essere agganciato a qualcosa di reale, altrimenti non ha senso”.
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