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Libero

Troppo vino: soldi a chi lo distrugge o riconverte in disinfettante … Inflazione e vendemmia abbondante, tante bottiglie invendute: le misure di Francia e Ue… L’oro rosso francese (insomma, il vino) brilla sempre di meno. E infatti guardale lì, le vigne di Bordeaux: sotto la morsa dell'inflazione, delle famiglie che possono spendere meno (e quindi consumano meno), dell’exploit della birra, specie quella artigianale, che conquista pure oltralpe e si mangia (anzi, si beve) fette di mercato alla velocità della luce. Epperò loro, i produttori, le regioni del “rosso”, il Borgogna, il Loira, mica han difficoltà a fare la vendemmia: l’uva c’è, il mosto anche. Allora il problema diventa doppio, parbleaéu. Diventa che da una parte di produzione ce n’è tanta (troppa) e dall'altra di domanda ce n’è poca (troppo poca). Ecco perché il governo francese ha deciso di stanziare diversi milioni di euro per, letteralmente, distruggere il vino in eccesso. Mica è una buona notizia. Anzitutto sa un po’ (non di tappo, ma) di spreco. E poi trascina una serie di problemi economici: la sovrapproduzione (invenduta) che significa calo dei prezzi e le difficoltà economiche che toccano, già adesso, una cantina su tre. Hai detto niente. La contromisura è quel macero formato bottiglia, tra l’altro inizialmente avanzato dall’Unione europea, che qualche settimana fa ci ha messo i primi 160 milioni di euro, quota poi portata ai 200 tondi tondi grazie alle casse dell’Eliseo: tutte risorse che, secondo il ministro dell'Agricoltura di Parigi, Marc Fesneau, servono a “fermare il crollo dei prezzi e a far sì che i produttori di vino possano trovare nuovamente altre fonti di reddito” dato che persino il settore dell’enoteca è costretto a “guardare al futuro, a pensare ai cambiamenti dei consumatori e ad adattarsi”. Però, attenzione: il “retrofront” sul vino non è affare solamente francese: dice la Commissione europea, di nuovo, che quest’anno il calo, in Francia, è sì stimano al meno 15%, ma in Germania va anche peggio (-22%), in Portogallo non ne parliamo (-34%), in Spagna non si sorridere (un altro -10%) e anche il nostro, di bicchiere, è calato del 7%. Tocca pensare in modo alternativo. Come fanno quelle tenute che hanno abbandonato il fiasco uso pasti per darsi alla “distillazione di crisi” che non è un modo di dire, è proprio un modo (diverso) di produrre l’alcool. Non più, per esempio, per l'etichetta Dop, ma per destinarlo ad altri mercati. Come quello dei disinfettanti. Ce lo ricordiamo tutti, il Covid: con la corsa all’amuchina e al gel antibatterico. E ancora la Commissione europea, a giugno, a spianare la strada (o meglio, i filari): altra infamata di misure a sostegno delle aziende agricole e altro dirottamento degli impianti di produzioni: chi rinuncia all’oro rosso (e si “converte"al liquido infettante) riceve un compenso dallo Stato, riduce le perdite e fa bene all'economia. Perché toglie casse di vino da un mercato che (l’abbiamo detto) è ormai saturo: alla fine, quello che ci guadagna, è lo squilibrio tra domanda e offerta che, in un certo senso, si riduce. Facile, come bere un goccio. Di acqua, però. Che oramai c’è rimasta giusto quella.

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