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Libero

Non più solo cantine il vino si affina anche sul fondo del mare … II prodotto portato a 50 metri di profondità: migliorano profumo e colore. Nel mondo il metodo viene utilizzato già per 400mila bottiglie all’anno… Chi l’ha detto che l’acqua non fa bene al vino? Sì, certo, G. K. Chesterton (scrittore e giornalista britannico di inizio 1900) nel romanzo L’osteria volante ci regalò la meravigliosa frase “E Noè diceva spesso a sua moglie, quando si sedeva a pranzo: “Poco m’importa dove vada l’acqua, purché non vada nel vino!” e quando a tavola qualcuno si azzarda a diluire un calice di rosso con la minerale viene (giustamente) fulminato con disprezzo. Ma attenzione, c’è una soluzione a sorpresa: se anziché mettere acqua nel vino mettete il vino nell’acqua, tutto cambia magicamente. Come? Con i cosiddetti UnderWaterWine, prodotti affinati in cantine sottomarine create nei fondali, sperimentazione ancora poco conosciuta ma sempre più frequente. Il metodo è semplice e in realtà datato (nell’antica Grecia gli isolani di Chio tenevano l’uva per qualche giorno in mare, mentre gli antichi romani miscelavano le uve essiccate al sole con acqua marina), ma l’ispirazione che ha offerto la svolta in tempi moderni è stata una scoperta del 2010, quando nel Mar Baltico sono state trovate 168 bottiglie di Champagne a bordo di un relitto risalente a un naufragio del XIX secolo. Ebbene, alcune di queste erano ancora bevibili (lo ha certificato a livello organolettico la National Academy of Sciences) malgrado il tempo passato in acqua e una boccia di Veuve Clicquot è stata venduta all’asta per 15mila euro. Prime Sperimentazioni. E così, proprio in quegli anni, sono nate in Italia le prime sperimentazioni di cantine subacquee come l’azienda vinicola Bisson di Piero Lugano, che ha creato una cantina nei fondali marini a largo delle coste di Portofino (oggi vengono immerse 30mila bottiglie tra spumante classico “Abissi”, Rosé e Riserva, costo dai 40 euro in su); o come la Tenuta del Paguro di Brisighella (Merlot, Sangiovese, Albana e Cabemet) ricavata nel relitto di una piattaforma petrolifera affondata nel 1965 a seguito di un incidente al largo di Ravenna; o ancora, più recentemente, come la Cantina Santa Maria La Palma di Alghero che produce l’Akènta Sub, un vino speciale con uve di Vermentino di Sardegna affinato nei fondali delle acque del Parco di Porto Conte. “Nel 2022, nel mondo, sono state prodotte 400mila bottiglie con questo metodo e l’Italia è all’avanguardia rispetto al resto dell’Europa - racconta Antonello Maietta, presidente del cda della Jamin Portofino UnderWaterWines, la prima azienda italiana specializzata in servizi ingegneristici e metodologie di cantinamento subacqueo - Noi non siamo produttori, ma offriamo un servizio a chi è interessato a questi procedimenti: nel nostro team lavorano ingegneri, fisici, biologi marini, sommelier, enologi e subacquei”. Jamin, nata nel 2015, dal 2021 ha lanciato un equity crowdfunding che ha raggiunto 410 associati e attualmente ha quattro cantine UnderWater italiane che aderiscono network: Portofino, Ravenna, Termoli e Cosenza. Già, ma come funziona questo metodo innovativo? Le bottiglie (si può fare con tutti i tipi di vino: champagne, rosso, bianco, spumante, dolce), dopo una serie di analisi sensoriali e di laboratorio, vengono messe in particolari capsule e adagiate sul fondale del mare (a circa 50 metri) per un periodo che va dai 6 mesi a un anno. Durante questo tempo appositi sensori consentono di rilevare una serie di parametri - tra cui temperatura, pressione e correnti - e viene così tracciato il percorso di ogni bottiglia monitorando l’habitat marino che, a determinate profondità, oltre a replicare le condizioni di una vera e propria cantina aggiunge altri vantaggi non riproducibili a terra. A fare la differenza sono la pressione dell’acqua che comprime il vino (i tappi sono di sughero, che permettono un minimo passaggio di ossigeno), il movimento leggero del mare, la temperatura (il clima sott’acqua è costante e si aggira sui 13 gradi, situazione che in cantina è impossibile da mantenere) e il semibuio che impedisce ai raggi UV di rovinare il vino. Il risultato, assicurano gli intenditori, è ottimo e non solo per l’aspetto estetico (le bottiglie tornano in superficie scolpite dalle conchiglie e dai crostacei marini). “Anche chi non è esperto si accorge subito della differenza con un vino tradizionale - spiega Maietta - Da cosa? Semplice, viene sprigionato un profumo molto più intenso e il colore è più lucente e luminoso”. Ebbene sì, l’acqua fa migliorare il vino. Chi l'avrebbe mai detto?

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