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Libero

La bufala del vino fa brindare la Francia ... I danni della sinistra enogastronomica...
L’inchiesta autolesionista dell’Espresso affossa la nostra immagine all’estero, facendo il gioco dei cugini d’Oltralpe... III Che Bacco li avvinca nel più profondo dei baratri. Dopo aver fatto loro perdere il senno, ma senza averli prima beati con l’allegria che del vino è il primo effetto, prima che il suo eccesso porti allo spauramento. Questo è il mio augurio per i colleghi dell’Espresso che hanno pensato bene, per una copertina scandalistica dedicata al vino, di sparare l’ennesimo razzo che ci cade in testa a tutti. E che, da fuoco d’artificio per vendere qualche copia in più - cosa che a nessuno di noi fa certo schifo, anzi - si traduce invece in una bomba atomica con pioggia di scorie pestifere, Sull’immagine dell’Italia nel mondo, prima ancora che sulla testa delle 700mila imprese italiane che intorno al vino campano, garantendo quasi un quarto delle esportazioni agroalimentari nazionali, e con un attivo che quest’anno avrebbe sfiorato i 4 miliardi di euro. “Avrebbe”, naturalmente. Perché non sarà così, nel 2008, dopo la bella mazzata internazionale che ci stiamo infliggendo, non fosse bastata la mozzarella alla diossina grazie alla monnezza di Bassolino.
E perché? Perché un pugno di colleghi fresconi, spero non se la piglino, li voglio considerare in assoluta buona fede - ha deciso a tavolino di spararla grossa, scambiando qualche inchiesta giudiziaria su storie di ordinarie truffette nella filiera più bassa del vino di grande commercializzazione come fosse invece Calici Puliti di un novello Di Pietro, il bis dell’etanolo di massa che produsse vittime a decine tanti anni fa.

Quel che è peggio, hanno confuso lo storico dissidio tra produttori su eventuali aggiunte minoritarie di altri vitigni, rispetto al Sangiovese in purezza prescritto dal disciplinare per il Brunello di Montalcino, e lo hanno rilanciato a colpi di cannone come uno scandalo a tappeto che mette alle corde i più grandi nomi dell’area, come se per uno dei più famosi Docg italiani nel mondo si usassero prodotti tossici e vascate di veleni.

L’Unione Europea non chiedeva di meglio per intervenire rumorosamente, sollecitando informazioni sul governo italiano. Che naturalmente hanno trovato un’eco assordante sulla stampa internazionale, Per la massima gioia dei francesi, ai quali avevamo riservato sonore sconfitte nella bilancia del commercio mondiale enoico nel 2007, e che oggi possono tornare a fregarsi le mani contenti, a fronte della dabbenaggine dei beoti italioti così contenti di farsi mal da soli, pur di gioire in nome del savonarolismo purista che da anni la sinistra ha preso a soffiare su tutto ciò che finisce in piatti e bicchieri.

Non sono pazzo, né scambio il vino per politica. Ma di vino sono appassionato. Da piemontese, son barolista convinto, e in Francia vado di Borgogna più che di Bordeaux. Proprio in nome di qualche annetto di tracanno, son fedele ai vecchi canoni di baroli non barriccati, tanto che ormai molti sanno del legno più che del vitigno, e per un Rinaldi o un Monfortino vi cedo dei Chateau Latour senza troppi pianti. Ma proprio perché sono contrario ai polifenoli e ai tannini da interazione sempre naturale, ma comunque indotta rispetto agli antichi canoni, non confondo per questo le moderne lavorazioni che inseguono in piena sicurezza il gusto del mercato mondiale, dominato da americani e asiatici, con le spavalde e truffaldine macchinazioni di spregevoli nemici della salute pubblica, come invece li vorrebbero dipingere i guardiani del politicamente corretto anche a tavola. La filosofia a chiacchiere salutista con Slowfood, e poi via via sempre più scopertamente rosso-rivoluzionaria con evoluzioni bolivariste tipo Terra Madre, tutti i parti della sinistra enogastronomica che da vent’anni in Italia ha preso a dettar legge partendo dal Manifesto e approdando all’Espresso e Repubblica, la vera responsabile di questo clamoroso autogol. Che in nome del biodinamico accusa di reati gravissimi chi si limita ad aggiungere un 1% di petit verdot a un 99% di sangiovese.

Vi rivelo ciò che chiunque conosca bene i vini di Francia sa, anche se è naturalmente proibito dirlo a voce alta, per non incorrere nei fulmini d’Oltralpe. Dove su questo non si fanno certo prendere a schiaffi come noi, che arriviamo a darceli da soli e in pubblico. Non vi dico cosa penso di moltissimo vin de pays che mi è capitato di assaggiare, perché son certo che nella parte bassa della filiera francese vi siano adulterazioni non dico vaste e pericolose, ma comunque non meno diffuse che da noi. No: è dei Borgogna e dei Bordeaux che vi rammento come l’astuta legislazione francese, dagli anni Venti in avanti, abbia in realtà consentito una tale frammentazione di Domain e Chateaux che, a meno che non passiate anni ad assaggiarli e a conoscerli uno per uno - non conosco attività migliori, in effetti, e mi scusino le signore - tali denominazioni coprono una discontinuità e disomogeneità di apporti e lavorazioni che al confronto il nostro Brunello è più garantito e coeso della Pietà di Michelangelo.

Un conto è dire che delle ultime annate di Brunello a noi vecchi puristi piace assai più quello della Cerbaiola, o il Casanova di Neri, o La Rasina del giovane Marco Manutengoli, o ancora quello del Podere Renaione della mitica RosalbaVitanza. Che tutti questi battono e per molti punti, i brunelli della Castello Banfi che è oggi sotto accusa. Ma scambiare per avvelenatori lo squadrone che vi opera agli ordini di Enrico Viglierchio, solo perché Castello Banfi è l’azienda più “americana” del comprensorio, e sputtanare in tutto il mondo loro e il Brunello, non è roba da puristi come ci consideriamo noi quando ci inebriamo di degustazioni verticali. E solo roba da coglioni autolesionisti. Come quei fresconi che dal governo e dalle procure hanno passato le carte all’Espresso, e i primi due giorni li hanno trascorsi facendo la ruota, dicendo che questa è la miglior prova che in Italia sì, che funzionano i controlli. Bravi coglioni: peccato poi che nessuno lo dica, che la depenalizzazione di alcuni dei reati che sarebbero contestati ai presunti avvelenatori è avvenuta proprio sotto l’attuale governo. I francesi sanno vendere anche ciò che non merita, perché sono bravi, A noi invece il vino ha fatto uscire in edicola quelle parole di troppo che lo facevano poco amare a Italo Svevo. Diceva che il vino è un grande pericolo perché non porta a galla la verità. Purtroppo, la verità è che l’autofristigazione piace ai masochisti, e coi masochisti non si ragiona, bisogna solo curarli.

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