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Libero

“Nelle nostre vigne si coltiva il futuro buono della Calabria” ... L’intervista. Per Nicodemo Librandi, uno dei padri moderni del Cirò, “l’importante è produrre il vino che ci appartiene. E puntare sulla qualità ad ogni costo”... S’arriva in Contrada San Gennaro sospesi tra due mari: quello meraviglioso della costa jonica, quello ubertoso dei vigneti. S’erge, quasi un approdo del buono, la cantina Librandi dalla campagna. E li m’attende il “saggio” del Cirò, Nicodemo Librandi che col fratello Antonio, ha innalzato il vessillo della Calabria del vino ai vertici della qualità e della notorietà. Da queste vigne sgorga quasi metà della produzione dell’intera denominazione Cirò. M’aspetto il solito lamento; c’è la crisi, va tutto male, i mercati fermi. Resto basito alla prima risposta di quest’uomo di un’affabilità pari alla vivezza d’intelletto, animato da passione vera per la sua terra.

“Va bene, anzi meglio perché c’è la dote più importante: la speranza. E sono convinto che nelle nostre vigne, nella campagna, in quest’agricoltura che è capace di produrre cose straordinarie come il bergamotto, i nostri salumi, i rari formaggi, la frutta, il diavolicchio, l’olio extravergine d’oliva crotonese che è tra i migliori del mondo, stiamo coltivando il futuro buono della Calabria”.

Grazie Librandi, ma ero venuto per il Cirò. Come va il Cirò?

“Bene, ma dovrebbe andare meglio. Per troppi anni abbiamo lasciato che il Cirò fosse considerato un vino locale. Dobbiamo invece restituirgli la sua totale identità e la sua nobiltà”.

E cosa serve per restituirgli identità e nobiltà?

“Quello che abbiamo fatto noi come Librandi, ma che deve diventare prassi dell’intero sistema vincolo: ricerca sugli autoctoni, selezione clonale, zonazione. E poi marketing mirato ad esaltare la valorialità del vino in rapporto alla sua storia e alla bellezza della nostra terra”.

Porte chiuse agli internazionali?

“E perché mai dovremmo aprirgliele? Il Gaglioppo, ma come il Mantonico, come il Magliocco, come le oltre 130 varietà dimenticate del nostro territorio che noi stiamo recuperando con un lavoro tecnico e scientifico pregevolissimo che abbiamo portato avanti con Donato Lanati, con Attilio Scienza e poi con Mario Fregoni, è un vitigno di assoluto valore. Noi dobbiamo fare il vino che ci appartiene, farlo sempre meglio e venderlo meglio, ma è il nostro vino che merita rispetto e attenzione”.

Per fare un grande rosso?

“Ma noi, noi calabresi intendo, facciamo già dei grandi rossi. Guardi che non c’è solo la zona del Cirò in forte qualificazione: è tutta l’enologia calabrese che sta facendo notevolissimi progressi. Faccio un esempio della mia cantina: noi non riusciamo a produrre tutta l’uva che ci serve, dunque la compriamo dai viticoltori. Oggi abbiamo, grazie al lavoro di ricerca, parametri certi di resa, di coltivazione e abbiamo imposto ai coltivatori un disciplinare che loro sanno rispettare. Il risultato sono vini sempre migliori e redditi più alti per chi suda la terra”.

Ma oggi i consumatori si orientano su vini più “leggeri”. Ha senso insistere sul Cirò rosso?

“Il Cirò rosso è un vino elegante fine, lontanissimo dai vini pesanti che sono andati di moda fino a qualche anno fa. Poi è vero: i bianchi stanno ripigliando piede. Noi abbiamo una produzione più o meno divisa a metà. Anche in questo caso abbiamo già un grande vitigno come il Greco ma altri cene sono e di antichissimi che possono dare risultati ottimi. Lo stesso vale per il rosato che, almeno per noi, è stato la sorpresa positiva del mercato”.

Siete in una terra bellissima, riuscite a fare sistema con il turismo?

“Sì, finalmente. In Calabria si beve calabrese: abbiamo saputo far diventare il vino il testimone sensoriale dei nostri valori. Semmai bisognerebbe migliorare ancora l’offerta turistica. I ritardi infrastrutturali pesano, abbiamo bisogno di valorizzare ancora di più tutti i nostri patrimoni, ma il futuro della Calabria sta in questa integrazione: turismo, eccellenze agricole, patrimonio culturale”.

Ma non ha proprio nulla di cui lamentarsi?

“Di tutto ho da lamentarmi. Ma non serve. Dico però che bisogna mirare i finanziamenti su progetti specifici. Bisogna dare all’agricoltura di qualità le gambe tecnico scientifiche su cui camminare per produrre e vendere meglio. E bisogna rilanciare l’immagine della Calabria. Noi però non aspettiamo la manna dal cielo. Stiamo già lavorando al futuro che è dentro la nostra Storia. Come il Cirò”.

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