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L’export non basta ... Tendenze... Mercato delle uve in crisi, perché l’offerta supera la domanda. I produttori di sola materia prima a rischio, con l’eccezione dei soci delle cooperative. Le buone performance nelle vendite di vino italiano, specialmente sulle piazze estere, non sono riuscite a riverberarsi positivamente sul resto della filiera. Emerge da un’indagi - ne di WineNews all’ini - zio della vendemmia. Le criticità emerse nella campagna 2009 non sono state recepite e i provvedimenti per arginarle sono rimasti più intenzioni che fatti. Si riparte quindi da prezzi decisamente bassi della materia prima (in alcuni casi 0,20/0,30 euro al kg), non remunerativi e che appaiono però non ulteriormente comprimibili (la gestione di un ettaro può costare ad un’azienda, in media, dai 4.000 ai 6.000 euro). Un’offerta, in generale, superiore alla domanda, sta minacciando seriamente la stessa esistenza dei produttori privati di uve. Si salvano da questa spirale i soci delle cantine sociali. Si cominciano ad incontrare vigneti coltivati in una sorta di “set-aside” e qualche appezzamento è rimasto incolto e non sarà vendemmiato Qualcuno è ricorso agli aiuti dell’Ocm per l’estirpazione, altri a quelli per la “vendemmia verde”, un provvedimento Ue per ridurre le rese che però non ha riscontrato il successo sperato, rivelandosi, anzi, una specie di “boomerang”per chi li ha richiesti e ottenuti. In molte regioni italiane, infatti, i fondi europei per questa misura non sono stati usati e dovranno essere restituiti. Quest’ultimo “buco nell’acqua”, spiega in parte (l’altro elemento fondamentale potrebbe essere rintracciato nella volontà di ogni Regione italiana di mantenere a tutti i costi il proprio potenziale produttivo) il buon tenore quantitativo della vendemmia 2010, salutato da più parti sconsideratamente come un vantaggio competitivo, e che invece è la causa prima di una vendemmia difficile. Dal lato delle contrattazioni sulle uve, per adesso c’è “calma piatta”. Gli acquirenti storici, i grandi imbottigliatori, possono aspettare ancora, se non, addirittura, preferire l’acquisto direttamente dei vini in stoccaggio riducendo rischi e costi. E potrebbe arrivare qualche chiusura di contratto in odore di “dumping”. Segnale concreto di questo malessere la recente e clamorosa iniziativa di alcuni consorzi piemontesi (Vignaioli Piemontesi, Colli Tortonesi, dei Vini d’Asti e del Monferrato e dei Vini d’Acqui) che hanno fatto uscire sui maggiori giornali della regione un appello a pagamento per denunciare che “la Barbera e il Monferrato Dolcetto rischiano di scomparire”, che “12.000 famiglie non hanno più alcuna certezza economica per il loro futuro”e che non saranno in grado “di affrontare la vendemmia 2010”. E questo nonostante l’export del vino italiano (soprattutto per gli spumanti) sia in ripresa. Ma è evidente che è la filiera ad essere andata in default. Le conseguenze possono essere gravissime.

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