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Libero

La “mediterranea” al supermercato ... Rubo al ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, una sua espressione: “Mettiamola così”. Se mi rivolgo col pensiero al timoniere dei conti pubblici che nella tempesta di questa crisi lunga, troppo lunga e insidiosa perché defatigante come un’influenza dalle continue ricadute, ha saputo tenere la barra ben ferma è perché è venuto il tempo di fare un po’ di conti per capire cosa e soprattutto come mangeremo nei prossimi mesi. E perché è sperabile che proprio da Tremonti venga il là ad una rinnovata attenzione alla filiera agricola e a quella agroalimentare ben sapendo che se continuiamo di questo passo tra un po’ chiuderemo le stalle, le cantine, i frantoi. Si dirà: hanno altro a cui pensare. E allora mettiamola cosi: se lo scontro Fiat-sindacati per tre operai tre monopolizza tutto il dibattito economico, l’agri - coltura può pure andare a spigare. Sarebbe anche cosa da nulla se non si portasse dietro un oceano di problemi e di ricadute sociali, culturali ed economiche che per l’Italia rischiano di essere esiziali. I problemi da porre sono quattro. Il primo: pare che gli italiani quest’anno spenderanno cento euro in più ogni mese per fare fronte a consumi incomprimibili, le tariffe del gas, dell’acqua, dei rifiuti. Se i redditi non salgono c’è il rischio che taglino sul conto della spesa alimentare. Per mangiare meno? No, probabilmente per mangiare molto peggio. Secondo: l’Italia vede il suo paesaggio in continua erosione. Il selvatico lungo le montagne avanza, i mutamenti climatici ci costringono a fare i conti con continue alluvioni, con frane e smottamenti. Il conto chi lo paga? Le tasse degli italiani. Terzo: siamo alle prese - nonostante i controlli nel nostro paese siano i più rigidi ed affidabili del mondo, merito dei Nas, del ministero per le Risorse agricole e delle Regioni - con una crescente invasione di prodotti agroalimentari extra Ue (o triangolati dall’Ue il che è peggio) di qualità scadente. Se andiamo avanti così la questione da agricola diventerà sanitaria. Quarto: i prezzi all’origine dei prodotti agricoli sono in caduta verticale. Le olive - quest’anno pare sia un anno di carica - probabilmente in molte parti d’Italia non saranno raccolte semplicemente perché non conviene, l’uva spunta prezzi ridicoli tant’è che un comune come Castagnole delle Lanze ha promosso la campagna “Adotta un filare” di Barbera per evitare che i viticoltori lascino marcire i frutti sulle piante, il grano nonostante i prezzi speculativi alla trasformazione costa meno di dieci anni fa e il latte è inchiodato a trenta centesimi al litro per non parlare di quello di pecora (si veda la protesta dei pastori sardi) che rischia di essere disperso in mare. Questo è il quadro. A fronte di tutto questo è arrivato l’annuncio che l’Unesco sta per dichiarare patrimonio immateriale (culturale) dell’umanità la dieta mediterranea. L’iniziativa è degli spagnoli (come facciano a mettere insieme dieta mediterranea e texturas di Ferran Adrià resta un mistero) e noi ci siamo accodati. E già questo dice tutto. Gli spagnoli non hanno mai praticato una dieta mediterranea ma ne producono gli ingredienti e sono i nostri principali concorrenti. Hanno il pomodoro (peggiore del nostro), hanno l’aceite de oliva (peggiore del nostro ma ci hanno invaso prima con le esportazioni poi comprandosi alcuni dei nostri marchi commerciali più noti), hanno il tonno che ci fregano sotto il naso e le acciughe (migliori delle nostre), hanno il grano con cui fanno una pasta imparagonabile alla nostra. Ma giustamente Paolo De Castro (ex ministro dell’Agricoltura e ora presidente della Commissione agricoltura di Strasburgo) ha detto che, al di là dei campanilismi, veder riconosciuto il valore della “dieta mediterranea” darà un forte contributo alle nostre produzioni. Restano però i quattro problemi che ho elencato all’inizio. Al supermercato quale dieta mediterranea acquisteremo? Quella italiana o quella messa insieme con importazioni di cui è lecito dubitare? E ancora quando andremo al supermercato con sempre meno euro in tasca ci ricorderemo delle dolci colline di Toscana opime di vigne, di Umbria e Marche argentate d’ulivi, delle distese di grano di val Padana, degli aranceti di Calabria e Sicilia e sapremo rinunciare a qualche altro consumo per comprare il made in Italia agroalimentare e tutelare così il paesaggio? Ogni bottiglia di olio extravergine Dop in meno è un olivo in meno. Si tratta di scegliere: sostenere l’agricoltura attraverso una moderna distribuzione dei nostri prodotti e una manovra sui consumi (aumento di reddito, vantaggio fiscale, abbattimento dei costi agricoli) che dia mercato alle nostre eccellenze oppure rinuncia al paesaggio, accettazione dei costi sanitari derivanti da una scorretta alimentazione e dipendenza totale dall’import. E non ci consolerà sapere chela dieta mediterranea è un patrimonio. Che proprio noi non ci possiamo permettere.

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