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Libero

La dieta non è mediterranea Pasta, pomodori, latte e pesci hanno poco o nulla di italiano… L’Unesco ha riconosciuto i canti tradizionali sardi patrimonio intangibile dell’umanità insieme all’opera dei pupi siciliana e al Flamenco. Viene a fagiolo. Si narra che Carlo V in visita ad una ribollente Alghero per tacitare la sua colonia pronunciasse la storica frase “Todos caballeros”. Seguirono giorni e giorni di festeggiamento. Todos caballeros appunto ha sentenziato a Nairobi l’Unesco riconoscendo anche la Dieta Mediterranea come patrimonio intangibile dell’umanità. In Italia applausi scroscianti: la Coldiretti ha addirittura imbandito una spaghettata colossale. I trionfalismi sono stati un coro: tutte le associazioni agricole hanno gridato al miracolo, così buona parte dei critici (si fa per dire) enogastronomici. Evviva, ora per la nostra agricoltura c’è un roseo futuro. Direbbe Totò: ma ci faccia il piacere! C’è infatti molto da riflettere su questa bufala della Mediterranea. Per tre ragioni: economica, culturale, di sistema. E poi c’è un altro particolare: nella
stessa assise africana l’Unesco mentre dava il riconoscimento alla dieta mediterranea condominiale - l’Italia si è accodata alla proposta della Spagna ed è affiancata da Marocco e Grecia - sanciva che la cucina francese, da sola, era anch’essa un patrimonio immateriale dell’umanità. È di tutta evidenza che questo riconoscimento non è affatto un primato italiano, ma semmai una diminuito. L’Italia ha la cucina migliore d’Europa, o almeno quella che gli europei preferiscono consumare. Lo dice uno studio del portale turistico tedesco Zoover, che ha condotto un sondaggio fra 10.500 turisti europei. Al secondo posto la Spagna, terzi i francesi. Ma noi ci accontentiamo di stare in condomino perché non abbiamo saputo avere la leadership neppure sulla “Mediterranea”. Vi è dunque una considerazione dolorosissima per la nostra agricoltura. Si sa che gli ingredienti della dieta sono: formaggio, verdura e pomodoro in particolare, pesce, olio di oliva, carboidrati, vino. Bene le cose in Italia stanno così: il grano per la pasta made in Italy copre appena il 10% del fabbisogno, siamo dipendenti dall’estero per metà dell’olio di oliva che consumiamo, importiamo circa il 60% del pesce, i nostri pomodori li buttiamo via e compriamo quelli cinesi, le fragole ci arrivano dal Marocco, così gli agrumi. E il vino crolla sotto i 40 litri pro capite, dobbiamo venderlo all’estero e noi mediterranei - che lo beviamo per abitudine e con moderazione - lo demonizziamo
come il Nord Europa fa con i superalcolici. I pastori sardi sono alla fame e in compenso importiamo latte per metà del nostro fabbisogno. I motivi sono di due ordini: il made in Italy è diventato troppo caro per gli italiani, l’agricoltura italiana è talmente scassata che non riesce a produrre quanto ci serve. In compenso ci siamo alleati nella Mediterranea con i nostri principali concorrenti. Ma non è
finita. C’è una pressione speculativa fortissima sulle materie prime: i prezzi lieviteranno. E la dieta mediterranea rischia di andare fuori mercato proprio in Italia: ci toccherà importarla. Questi sono i dati economici. Il dato culturale è costituito dal fatto che la Dieta mediterranea è l’invenzione di un nutrizionista americano, Ancel Keys, che soggiornava in Cilento. Ci appartiene de relato. Il terzo dato è quello di sistema. Ammesso che il riconoscimento Unesco sia un’opportunità noi che non siamo stati in grado neppure di certificare i ristoranti italiani all’estero, che abbiamo una promozione farraginosa e un’agricoltura al minimo storico come facciamo a sfruttare quest’onda? Sarebbe stato ben meglio veder premiato il valore aggiunto della cucina, piuttosto che un generico richiamo alle abitudini alimentari. In più la beffa: i nostri concorrenti hanno i nostri stessi atout e tutti i peana che sono stati innalzati a questa medaglia di latta rischiano di soffocare il grido di dolore della nostra agricoltura (e della nostra ristorazione) strangolata dalla crisi. Proprio come Carlo V ad Alghero: todos caballeros.

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