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Libero

Il Risorgimento in bottiglia è firmato Cavour-Ricasoli … E se dovessimo brindare al compleanno dell’Italia? C’è in atto uno vero e proprio sommovimento culturale per indagare ragioni e regioni del rinascimento. E ciò che più conta è che anche attorno al vino si comincia a discutere di Storia. Una tendenza che si sta affermando proprio in queste settimane è quella di andare alla ricerca delle bottiglie che hanno fato l’Unità. Dunque: 1861 l’Italia è finalmente unita, ma accanto al “Risorgimento” politico c’è anche un altro “Risorgimento”, quello enoico, capace di riportare agli antichi fasti l’Italia, che gli antichi Greci avevano ribattezzato Enotria. Un Risorgimento che procede parallelamente a quello della riscossa nazionale e si rivela, peraltro, fra i meglio riusciti. Un antefatto imprescindibile dei successi della viticoltura e dell’enologia italiana di oggi, saldamente ai vertici mondiali. Merito di due protagonisti di quelle vicende irripetibili: Camillo Benso Conte di Cavour e Bettino Ricasoli, l’uno successore dell’altro alla presidenza del Consiglio della nazione appena nata. Uomini intimamente uniti nei progetti politici, ma anche due imprenditori agricoli, convinti della portata storica della loro professione, finalmente in grado di scardinare la superata figura del “rentier”. Uomini uniti anche dal vino: l’uno “inventore” del Barolo e l’altro della formula del Chianti “sublime”. Tutti e due pronti a scommettere - l’esportazione di vino italiano si attestava sui 350.000 ettolitri di vino da taglio, ricordiamolo, contro i sei milioni di ettolitri di vino
di qualità esportato dai francesi, secondo la prima statistica dell’Italia Unita - che l’Italia unita sarebbe ritornata ai fasti dell’antica Enotria, producendo vini in grado di affrontare la concorrenza con quelli francesi. Più sporadico il contributo del piemontese, decisamente più sistematico e appassionato quello del toscano che, in realtà, segnò un vero e proprio cambio di passo nella considerazione dell’agricoltura e, in particolare, della viticoltura e dell’enologia. Bettino Ricasoli credeva fortemente che un Paese moderno dovesse trovare nell’agricoltura uno degli elementi fondamentali della propria economia e, specificatamente, nel vino quel bene che fungesse da “biglietto da visita” negli scambi internazionali. Il vino come prodotto simbolo per l’export, dunque, capace di rappresentare la storia e la cultura di tutto un popolo. Una visione di lunga portata, quella di Ricasoli che, proprio oggi, in un momento di crisi economica globale, trova una conferma quasi profetica nei risultati raggiunti dai vini del Belpaese nelle maggiori piazze di tutto il mondo, per di più proprio nell’anno della celebrazione del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, una sorta di data simbolica che segna anche la conclusioni di un processo, intuito per la prima volta proprio nel Castello di Brolio. Una congiuntura storica per certi versi irripetibile e straordinaria, quella che si stava svolgendo nel 1861, in cui il vino era decisamente protagonista: dal Barolo piemontese, al Marsala siciliano, l’unico che avesse già una posizione di rilievo nell’esportazione, passando dalla Toscana, dove non solo Bettino Ricasoli stava creando il Chianti,
ma anche Clemente Santi, a Montalcino, cominciava i suoi esperimenti intorno ad un vino rosso “durevole e tale da potersi esporre alla lunga navigazione senza guastarsi”.

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