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Le bottiglie in caduta anche al “super” … Antinori non ci sta… A passi larghi verso il Vinitaly (dal 7 al 12 aprile a Verona) con in testa un dilemma: perché il vino italiano va bene nell’export e il consumo interno crolla? Sarà questo il tema centrale della più importante rassegna vinicola del mondo che già scalda il dibattito. Intanto si è saputo che il mito del supermercato come nuovo Eldorado delle bottiglie è al tramonto. Una ricerca recentissima realizzata da Symphony Iri Gruop proprio per conte del Vinitaly racconta che le vendite di vino sono in calo anche nella grande distribuzione facendo segnare - 0,9% a volume (+ 0,4% a valore). Per contro crescono le vendite delle bottiglie da 0,75 l. a denominazione d’origine (Doc, Docg e Igt) che aumentano del 2,3% a volume (e del 3% a valore). Ancor più significativo l’aumento delle vendite delle bottiglie a denominazione d’origine della fascia di prezzo da 6 euro in su, che mettono a segno un + 11,2% a volume ( e +10,8% a valore). E tra questi vini il Chianti ed il Lambrusco si dividono la leadership col Chianti che vende di più a valore (più di 54 milioni di euro) ed il Lambrusco che vende di più a volume (più di 14 milioni di litri). Seguono il Nero d’Avola ed il Montepulciano d’Abruzzo. Interessanti novità si affacciano nella classifica dei vini emergenti: al primo posto il Pignoletto con + 24,8%, seguito dal “multi regionale” Syrah (+ 18,7%) e dal siciliano Inzolia (+ 16%). Al successo aspirano anche Aglianico, Vernaccia, Cirò e Valpolicella. La conclusione è che si va sempre di più verso una polarizzazione del mercato. Ma sul che fare c’è una diatriba aperta. Ad andare controcorrente è il marchese Piero Antinori a capo di un gruppo da 500 milioni di fatturato (è anche presidente dell’associazione grandi marchi: 17 tra le migliori cantine italiane) che dice: “ Quello della crisi dei consumi interni di vino è un falso problema, preoccupiamoci piuttosto di vendere bene nel resto del mondo. In Italia siamo sessanta milioni, nel mondo 6 miliardi. Per una volta il nostro paese dovrebbe pensare a crescere, non a conservare”. Anche in Francia, nota Antinori, “i consumi interni sono calati, ma questo non ha distolto dalla conquista di nuovi mercati secondo una strategia comune e ben organizzata, ed è quello in Italia non si riesce a fare, perché manca una cabina di regia in grado di governare un settore fortemente parcellizzato”. Secondo il vignaiolo toscano “Negli ultimi 10 anni gli Stati Uniti hanno visto raddoppiare i consumi interni, per non parlare dei Paesi Bric dove 3 miliardi di persone e centinaia di milioni di nuovi ricchi si ‘occidentalizzano’ attraverso i nostri status symbol, vino di qualità in primis. In Cina - che è già un mercato potenziale da un miliardo di bottiglie l’anno - ogni 100 litri di vino provenienti dall’estero solo 5 portano l’etichetta italiana. E ancora, a Hong Kong, hub principale per la distribuzione del vino in Asia, il vino italiano si colloca in settima posizione, con una quota di penetrazione del 2,3%, contro il 33% della Gran Bretagna - che distribuisce per lo più vino francese - o il 31% della Francia. Sono questi i veri problemi nostro vino, non tanto quelli legati ai consumi interni”.

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