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Libero

Tramonta l’enologo star, ora serve chi vende ... Come cambia il lavoro tra i filari... Cambiano gli scenari macroeconomici, i mercati e le dinamiche di domanda e offerta di lavoro. Anche nel vino. Se fino a qualche anno fa c’è stato il boom di enologi ed enotecnici, secondo le Città del Vino, ora le cose sembrano rallentare come rileva Assoenologi, per cui il settore che in 30 anni ha dimezzato la sua superficie produttiva non può assorbire più di 150 enologi l’anno. “L’80% di chi si diploma o laurea da noi trova ancora lavoro in pochi mesi” spiega Marco Dal Rì dell’Isti - tuto Agrario di San Michele all’Adi - ge, punto di riferimento della formazione enologica in Italia. Ma il borsino del lavoro sembra premiare la fase post-produzione: “le figure più ricercate sono export manager, marketing manager e specialisti in web e nuove tecnologie di comunicazione - dice Andrea Pecchioni, direttore di Wine Job, agenzia per professionisti del vino - e vista la crescente importanza dei mercati esteri, le aziende cercano persone preparate e disposte a vivere nei Paesi di riferimento”. Una conferma che fa seguito alle indicazioni del professor Attilio Scienza, un’autorità del mondo del vino, che esorta le cantine a puntare su giovani, esperti di new media e nuove discipline di marketing, per affrontare mercati in frenetica evoluzione con messaggi nuovi per i consumatori del futuro. “Dobbiamo attingere alle discipline rimaste fuori dall’eno-comunicazione - spiega - ma che possono aiutare. Tutte le esperienze di psicologi o comunicatori che partono da conoscenze antropologiche o di cultura materiale, possono essere usate con le nuove tecnologie di comunicazione, per capire cosa vuole il consumatore nel profondo. Per farlo servono testi, immagini e suoni che trovano nelle nuove tecnologie terreno fertile. E i giovani sono maestri nel farle funzionare. Per questo dico alle aziende: assumete giovani, daranno nuovi messaggi nella lingua dei coetanei, pubblico di domani, non più raggiungibile con slogan del passato”. Ma c’è anche un’altra rivoluzione che parte “dal basso”, dove il lavoro agricolo diventa portatore di integrazione multietnica: quella dei tanti stranieri che lavorano in agricoltura, senza i quali tante eccellenze made in Italy non si potrebbero produrre.

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