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Libero

Lungo le vie del Marzemino … Tra il Garda e il Bondone, alla riscoperta delle
vigne cantate da Mozart. Suggestioni futuristiche e antiche leggende in una terra davvero epica … Dicono che Don Giovanni se potesse si fermerebbe più di una notte qui. I motivi? Infiniti. Buon vino, ottima tavola, formaggi corposi, speck profumato, frutta dolce, paesaggi incantevoli. Ma sì diciamolo: belle ragazze e comunque gente seria e solida. E poi leggende e castelli. Ospitalità linda e franca. Infine arte: a cominciare dalle rapsodie futuristiche. E una parte - per noi contemporanei che tuttavia un po’ Don Giovanni, nelle pieghe della psiche, ci percepiamo - non secondaria della nostra identità nazionale. Se Lorenzo Da Ponte, copiando un po’ qua un po’ là e segnatamente da Molière, racconta la vicenda di questo cavaliere dissoluto dando il là al trittico italiano di Mozart (che comprende anche il Così fan tutte e le Nozze di Figaro) in realtà confessa, attraverso il Don Giovanni, le delizie che egli e il giovane Mozart ebbero in questa che era la provincia meridionale dell’impero asburgico. Da Ponte-Mozart sono stati i cantori del Marzemino, che qui s’incontra in vigne-giacimento. Ma sono stati anche la voce che ha cantato la gioia di vivere in queste valli dove Mozart giovanissimo a Rovereto dette incanto con il suo forte-piano deliziando i sudditi periferici dell’impero dell’Aquila a due teste - antico scudo svevo - che qui aveva un serbatoio economico e burocratico non secondario. Mi son fatto l’idea che lo scorrere impetuoso dell’Adige che precipita verso Verona con ribollire di acque di cristallo sia una sorta di partitura dell’esistenza. Tutto è tumulto, è attimo e vita e per contrasto tutto qui è anche quiete, tempo sospeso e leggenda. Come se sulle rive dell’Adige che s’incunea in questa ampia valle che dal Bondone scende a sfociare nel veronese ed è stata il tratturo di paleolitiche transumanze e poi la strada che i germanici percorrevano per arrivare al sole del Mediterraneo si dessero convegno Eraclito e Sant’Agostino. Traguardando da Isera il mondo si capisce che davvero non ci si bagna mai nella stessa acqua perché tutto scorre, ma è anche vero che sono concreti il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro come se in ogni attimo fosse racchiuso ciò che fu, che è e che sarà. Questa a me pare, mentre ritorno in queste terre opime e aulenti per l’ennesima volta a celebrare prima che un vino le vigne della più pura autoctonia, quelle del Marzemino che certo ha progenie anatolica ma che qui trovò dimora millant’anni fa, la vera magia della Val Lagarina. Che è una terra del tempo sovrano. Dove la vita si riflette in un bicchiere di vino: leggiadro e dunque frivolo, ma al tempo stesso profondo e di un colore impenetrabile che è sanguigno e profumato di natura. Tra otto giorni, l’11 settembre, a Isera si premia la vigna eccellente. È stata una geniale intuizione sostanziata da Paolo Zaniboni quella di non premiare il vino, ma chi lo genera coltivando. Che cosa abbia significato è presto detto: qui dove il Marzemino era residuale ora ha vita di mercato e qualità in esponenziale miglioramento. Merito anche di Attilio Scienza, gran cultore di tutto ciò che ha a che fare col vino e uno dei pochi professori di viticoltura capaci di narrare la vite e le vite, che è nato da queste parti e che qui ha riversato la sua scienza. Merito infine di tanti vignaioli, dalla Cantina d’Isera in prima istanza e poi De Tarczal, Bossi Fedrigotti, Spagnolli per citarne alcuni che hanno scommesso di nuovo sul Marzemino, un rosso che sa di geranio e di prugna, che è liquido e vellutato al palato e che è perfetto compagno di questa cucina. Merito infine di un gentiluomo il marchese Carlo Guerrieri Gonzaga (le sue vigne di Ala sono un esempio mondiale di come qui il Merlot possa diventare sinfonia e dove nasce il San Leonardo uno dei massimi rossi italiani) che attraverso la Casa del vino d’Isera - istituzione dove pubblico e privato lavorano di concerto ad un solo scopo: migliorare la qualità dei prodotti e della vita di chi li fa - ha promosso l’eccellenza. Tutto questo s’incontra in queste valli, ma molto c’è da raccontare. Ad esempio Rovereto con il suo museo del futurismo, ad esempio Nogaredo con la leggenda delle streghe di Castel Noarna, ad esempio il castello di Besenello e quelli di Calliano. È un tour dell’identità della montagna trentina che però non ha né eccessi mondani, né asprezze di fatica (se non quella di chi coltiva queste vigne) ma invita invece alla riflessione. Tra Riva del Garda e il Bondone sta racchiusa questa terra dove la ruralità è confidenza con la natura e scansione della Storia. Venirci è acquisire una dimensione del tempo sospeso, venirci è coltivare la gioia di vivere non nell’eccesso, ma nella consapevolezza. E se potesse piuttosto che dannarsi Don Giovanni si farebbe cullare da questa valle accogliente e forse scoprirebbe il buono della vita. Magari in un bicchiere di Marzemino.

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