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Vino e mercato Paradigma Pellegrino cooking ... C è molto meno vino quest’anno. Se non entra in funzione la disinformatia statistica il consuntivo reale della vendemmia sarà sotto i 40 milioni di ettolitri. Una soglia di rischio per due motivi: la prima che le aziende in alcune parti d’Italia non avranno volumi sufficienti a far quadrare i conti (soprattutto le cantine sociali), la seconda che potrebbe scattare il traffico delle autobotti con “inquinamento” qualitativo. Le cause sono da una parte climatiche dall’altra politiche. È entrata a pieno regime la Ocm vino che premia le potature a verde e le estirpazioni. Insomma: Mamma mi si è ristretta la vigna. Un motivo in più per riflettere su quanto sia necessaria una presenza forte e autorevole a Bruxelles per far valere le nostre ragioni. In tempi di pessimismo cosmico una citazione leopardiana ci sta bene. Dunque “passata è la tempesta”, ma nei campi non c’è aria di festa. La tempesta era la mozione di sfiducia al ministro per l’agricoltura Saverio Romano. Che rischiava di creare un pericoloso sbandamento e un vuoto di potere e di rappresentanza proprio nel momento in cui in Europa si apre la discussione sulla nuova Pac. Ma dissolte quelle nubi ora c’è da ragionare sul futuro prossimo venturo. Soprattutto per quel che riguarda il vino che è il nostro prodotto di punta (14 miliardi di fatturato, di cui oltre 4 dall’export) e che è stretto tra due emergenze e deve cogliere due opportunità. Le emergenze sono la produzione che si contrae, i consumi interni che crollano; le opportunità sono l’incremento di export, ma soprattutto la creazione di un sistema vino integrato capace di crearsi il mercato e di difendersi in Europa facendosi più forte in sede politica. Serve un consolidamento dei fondamentali economici delle aziende, un coordinamento vero del comparto e soprattutto una rivoluzione di marketing. E qui ci sono le più dolenti note. C’è stato un certo clamore perché Wine Spectator ha dedicato copertina e fondo ad Angelo Gaja. Benissimo per lui che se lo stramerita, ma è roba vecchia che ripropone la sudditanza dell’offerta italiana alla domanda statunitense. In queste ore siamo inondati di comunicati sui premi che le guide stanno dando ai vini. Bene, ma è anticaglia. Una settimana fa a Montefalco Marco Caprai ha promosso - nel corso di un’ottima edizione di Enologica - l’anteprima in Italia del film, interpretato da un grande ambasciatore del vino mondiale Charlie Artuaorola, “El Camino del Vino”. Lo hanno pagato le aziende argentine per far conoscere terroir, valore e qualità dei loro vini. Una domanda: in Italia non si può fare? Ieri e oggi e la Cantine Pellegrino ripropone il suo Cooking Festival (si veda il servizio sulla cooking mania). Ci sono solo donne a cucinare e sono grandi cuoche italiane: Valeria Piccini (Da Caino), Vera Caffini (Aquila Nigra) Rosanna Marziale (Le Colonne), Patrizia Di Benedetto ( Bye Bye Blues), Agata Parisella (Agata&Romeo), Mariucca Roggero Ferrero (San Marco), Fabrizia Meroi (Laite), Viviana Varese (Alice). La Pellegrino - azienda storica della Sicilia - incarna un progetto di qualità e ha fatto, antesignana in questo, del connubio vino-cucina il must della sua comunicazione Seguendo un filo che si snoda dal “Manifesto della cucina italiana” (2008), alle serate dedicate ai talenti emergenti della nostra ristorazione (09) e all’omaggio ai 150 anni dell’Unità d’Italia col connubio fra tradizione lombarda e materie prime siciliane (2010). È un nuovo modo di raccontare e far sperimentare il vino. È un paradigma di marketing che integra la catena del valore dell’agricoltura che si fa cultura, del territorio che diventa terroir, del vino che diventa esperienza sensoriale della nostra identità. Il vino italiano deve ripartire da qui. Si potrebbe dire: più marketing e meno marchette, più comunicazione diretta e meno ricerca del consenso, più esaltazione della qualità e meno sudditanza culturale, mediatica e politica. Più storia, più emozioni, più valore, meno mode. E’ il Pellegrino Cooking Festival. Un paradigma in bottiglia.

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