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Libero

AAA... Cercasi viti da salvare ... Un’operazione di cultura enologica possibile grazie a potatori d’eccezione ... Come l’intervento del restauratore salva un patrimonio che rischia di andar perduto per l’incidenza del tempo su di un’opera d’arte, così, con la stessa volontà di conservare e trasmettere la memoria del passato per le generazioni che verranno, anche nel mondo del vino c’è la possibilità di ridare nuova vita e riportare nei vigneti viti antichissime, facendo rinascere da antichi padri nuovi figli come può il regno vegetale e arricchendo il già notevole patrimonio varietale del “vigneto Italia”. Un’operazione di cultura enologica di cui tante cantine hanno compreso l’importanza, a partire da Caprai in Umbria, nelle aziende di Angelo Gaja in Piemonte o di Vittorio Moretti in Franciacorta, passando per i vigneti trentini recuperati nella Tenuta di San Leonardo o alle piante plurisecolari riportate a nuova vita in Irpinia dalla Feudi di San Gregorio, le cosiddette “viti monumentali” o “Patriarchi”, e a cui anche nel terroir di Montalcino si inizia a pensare. Il tutto attraverso una paziente operazione di potatura e rigenerazione arborea, attraverso un metodo ben preciso: quello dei “preparatori d’uva” Marco Simonit e Pier Paolo Sirch, i due tecnici friulani che dopo oltre 20 anni di osservazione e sperimentazione nelle vignedi tutta Europa, hanno definito un metodo di potatura, oggi alla base dell’unica “Scuola Italiana Permanente di Potatura della Vite” (www.simonitesirch.it), in grado di allungare il ciclo di vita e la produttività dei vigneti, recuperando l’antico mestiere del potatore che, come un chirurgo, decide il destino della vite con interventi il più possibile rispettosi della salute della pianta, che permettono addirittura di raddoppiarne l’età. E che ora lanciano il loro appello: “Saremmo lieti - dice Marco Simonit - che, se ci fossero casi di antiche viti da salvare in altre parti d’Italia, ci fossero segnalati”. “Il nostro obbiettivo - spiega Simonit - è portare il vecchio nel nuovo: in questo senso valgono i lavori che abbiamo già portato a buon punto, come quelli con la Syrica in Campania, il Tocai in Friuli, il Nerello Mascalese in Sicilia e il Nebbiolo in Valtellina, recuperando un patrimonio, quello delle antiche tecniche colturali, che si è ormai quasi perso, anche per l’incapacità umana di interagire con la vite. La moderna viticoltura ha ridotto troppo gli spazi a disposizione della vite, un albero giovane non occupa lo stesso spazio di uno vecchio. Saper gestire le vecchie tipologie di un vigneto insegna a lavorare meglio nei vigneti moderni. Si tratta, in fin dei conti - conclude Simonit - di un’opera vera e propria di restauro, evitando l’estirpazione di vecchi vigneti”. Vino e patrimonio culturale italiano non sono mai stati così vicini.

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