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Allegrini 2024

Libero

L’itinerario del gusto…Archiviata l’Epifania ecco il dolce Carnevale ... Nostalgia del passito ... In tempi magri di tasse e di evasioni contenute tranne, pare, quelle fiscali verrebbe da canticchiare chi ha dato ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto ha avuto con una minima chiosa a variare il verso, ricurdammoce ‘o passito. Perché? Andata in archivio l’Epifania che tutte le feste, d’accordo, porta via, ma che come il Natale è stata anoressica dal punto di vista dei consumi e che indica ancora una volta come ormai ci si prospetti una parca autarchia enogastronomia (a proposito un plauso al Comune di Roma per le calze a chilometro zero), ora spuntano i riti di Carnevale festa di popolo, del semel in anno. Ebbene protagonisti del Carnevale sono i dolcetti. E stavolta c’è da giurarlo rispunteranno quelli fatti in casa, come i bomboloni da acconciare con farina, patate e uova e da friggere in olio caldissimo per farcirli poi di morbida crema, come i cenci o gli stracci o le frappe, magari appena macchiate dall’Alchermes, semplicissimi e gustosissimi impasti di farina, latte, uova e zucchero, come le frittelle di riso o gli struffoli o la cicerchiata che trasudano miele, come le cartellate. Ebbene questi riti della gioia domestica (si apparecchiano davvero con due soldi) richiedono però per antico blasone enologico e di gusto l’accompagna - mento dei vini dolci. Furono gli ambitissimi vin di Cipro che i romani erano soliti drogare con miele e spezie, così come già facevano i greci che ci davano dentro con le resine. Si discute tanto e vanamente del primato enologico se sia italiano o francese. Sui passiti non c’è gara. Lì stravinciamo nei confronti di tutto il mondo. D’accordo Oltralpe hanno il Sauterne che si eleva ad altezze immaginabili quando è Chateau d’Yquem, contano sui Riesling d’Alsazia, ci sono gli Ice wines, ma poi? Tolti Porto, Madera e Sherry che resta più? Peccato che i vini passiti siano confinati nella nostra mensa al fine pasto, che non li si consideri nella loro nobiltà assoluta. L’Italia è ricchissima di vini passiti che sono ottenuti quasi tutti da vitigni autoctoni. E il bello è che sono vini di corte di origine popolare. Penso al Vinsanto toscano (sul nome c’è una vexata quaestio, mi piace pensare che fosse il vino dei Santi, da svinare per le feste di fine d’anno, ma è grato anche ricordarsi che i padri conciliari assaggiatolo abbiano detto: è vino di Xantos) al quale il mio maestro Giacomo Tachis ha dedicato una insuperata monografia e a quella storia che si racconta nell’aretino, dove il Vinsanto è una sorta di benedizione ai Lari dei contadini, di un soldato britannico che durante l’ultima guerra fu ristorato da una giovanetta del Valdarno con il Vinsanto. Una volta tornata la pace lui in patria abbia fatto dietrofront per sposare quella giovanetta e inebriarsi due volte: d’amore e di vino. Quando si dice la nostalgia del passito. Lasciamo perdere gli aneddoti e esploriamo da Nord a Sud per scoprire come il Moscato nelle sue tante declinazioni sia il vitigno principe dei vini dolci. Lo è in Val d’Aosta con lo Chambave Muscat, lo è ovviamente in Piemonte - che col Barolo Chinato conosce un vino insuperabile col cioccolato - dove si fa Moscato d’Asti e Asti spumante, lo è in Trentino e in Alto Adige nelle sue varianti Giallo e Rosa, lo è a Pantelleria dove diventa Zibibbo in quello straordinario Passito arso dal sole profumato dal mare inebriato dal vento, che è una rarità assoluta in Lombardia con il Moscato di Scanzo. Il Nord Est (includendo anche il Veneto) è patria inestimabile di passiti. Si comincia dalla Garganega nella zona di Soave, si prosegue con il Recioto di Gambellara, con la Vespaiola che diventa Torcolato, con la Corvina che diventa Recioto di Valpolicella (da questo vino ha origine l’Amarone celebratissimo e il Ripasso), che è Fior d’Arancio in quel dei Colli Euganei. E poi c’è il Friuli Venezia Giulia con quella triade unica fatta di Picolit, Verduzzo e Ramandolo. Passiti anche vitigni un po’ fanée diventano immensi: è il caso dell’Albana di Romagna o anche del Trebbiano toscano quando si fa Vinsanto (e anche il Trentino conosce il Vino Santo). Vi sono dei vini dolci che sono dei monumenti enoici e testimoni di una viticoltura eroica come lo Sciacchetrà delle Cinque Terre o la Malvasia delle Lipari. E ci sono passiti antichissimi che rinascono come è il caso dell’Aleatico dell’Elba (ha peraltro un parente molto stretto in Puglia) un rubino che sa di confettura di prugna e di salmastro o del piemontese Erbaluce di Caluso, o vini che hanno avuto successo nella versione fresca ma che sono nati come dolci. È il caso del Sagrantino di Montefalco che fu il vino da messa dei francescani, che è da sempre il vino delle feste sacre (da qui il nome) degli umbri e non è un caso che proprio Montefalco ospiti il centro nazionale dei vini passiti voluto dalle Città del Vino. Ma vi sono alcune bottiglie irrinunciabili e peculiarissime: è il caso della Veraccia di Oristano, della Malvasia puntinata che dà il laziale Frascati Cannellino o dell’altra Vernaccia quella marchigiana, stavolta nera, di Serrapetrona l’unico vino a tripla fermentazione. E proprio lungo la sponda adriatica gli autoctoni si esaltano nella passitura. Accade con il Verdicchio nelle Marche (ma qui vi sono anche alcuni Sauvignon dolci di altissima caratura) con il Montepulciano in Abruzzo con il Moscato in Molise e con i Primitivo i Puglia. E poi ecco i grandissimi vitigni venuti dalla Grecia. È il caso del Greco di Bianco calabrese, è il caso del Greco di Tufo della Campania che danno dei vini dolci di altissima intensità gustativa, è il caso del Nasco di Cagliari che ha prodotto negli ultimi due decenni i migliori vini passiti d’Italia. Come si vede sono vini che hanno confidenza con la Storia e allora per chiudere questo viaggio nel passito ecco il vino emblema della nostra unità nazionale: il Marsala frutto immenso dell’immensa Sicilia. Per ripigliare confidenza con le nostre più profonde radici conviene accostarsi a questi vini. In fin dei conti sono giorni questi in cui è lecito avere nostalgia del passito!

La Top Ten dei passiti

La Vrille Muscat Flètri Muscat petit grain di Chambave che ha esplosione di agrumi canditi al naso e palato morbidissimo e resinato. Capolavoro di Hervé Deguillame (€23).

La Morandina Moscato d’Asti Uno dei migliori Moscato piemontesi da questa cantina che ha puntato moltissimo sul dolce. Sentori di agrume, spuma lieve, corpo delicato (€12).

Pojer & Sandri Essenzia Bianco Grandissimo passito trentino frutto di un blend complesso. Come lo è il vino che regala miele e frutta secca con sostenuta freschezza (€21).

Livio Felluga Picolit Dai Colli Orientali del Friuli un passito rarissimo. Ambrato, dolce eppure profondo con venature di frutta esotica. Una bottiglia-mito (€32).

Giovanni Allegrini Recioto Classico Un frutto rosso e polposo di prugna, di mora in confettura, tannico e soave. Questo è il Recioto che in questa bottiglia dà il massimo (€34).

Fattoria Ripalte Aleatico dell’Elba Ultima inebriante sfida di Pier Mario Meletti Cavallari. Sfida vinta. Un Aleatico impeccabile rosso, dolce, salmastro, mediterraneo (€28).

Arnaldo Caprai Sagrantino Passito Ritorno alle origini di un vitigno unico. Marco Caprai crea una versione nobilissima di questo vino dolce e tannico. Stupendo (€ 35).

Cantina di Santadi Latinia Nasco di Cagliari che oro di vigna. Ha dolcezze di tropico, tostature di frutta secca, pastosità di miele freschezza di mare. Assoluto (€30).

Donna Fugata Ben Rye Una della massime interpretazioni del Passito di Pantelleria. Lo zibibbo qui diventa poesia della terra e annuncio di sole (€40).

Marsala Florio Donna Franca Riserva specialissima di questo frutto del Grillo. Note di cioccolata, caramello frutta secca, in dolce vigore. Lungo al gusto. Di classe (€25).


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