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Libero

L’insostenibile propaganda del biologico ... Nel nuovo regolamento Ue si scopre che i vini naturali sono uguali agli altri ... Che “biologico” sia una formula magica di marketing ce ne eravamo accorti da tempo. I rudimenti di un messaggio pubblicitario sono: la promessa di vantaggio, l’argomento prova e l’immagine coordinata. Ti do un vino che è frutto della natura, te lo garantisco con una certificazione (che è autoriferita, ma tu non lo sai) e faccio un’azione di propaganda per cui io e la mia azienda siamo puliti, rispettosi, naturalissimi. E chi non ci cascherebbe! Così vanno le cose in Italia dove a rigor di normativa i vini biologici non esistono. Al più si possono denominare come vini ottenuti da uva a coltivazione biologica. L’Europa non ha ancora una legge compiuta e definita sui vini biologici. Ha varato però l’8 marzo scorso un nuovo regolamento in cui per la prima volta si menzionano espressamente i vini biologici. Vediamo di capirci. Il primo discrimine tra “bio” e convenzionale è dato dall’uso di sostanze chimiche nella coltivazione e nella vinificazione. Per il vino c’è un indicatore simbolo: l’anidride solforosa. Da un po’ di tempo sulle bottiglie compare, ope legis, la scritta “contiene solfiti”. I rossi non possono averne più di 160 milligrammi per litro, i bianchi non più di 200. Ci si aspetterebbe che i vini bio siano solforosa-free. E invece il regolamento europeo dice che i vini biologici bianchi e rosati non possono averne più di 160 milligrammi a litro e i rossi non più di cento. Con un’eccezione. Se lo zucchero residuo è superiore a due grammi litro si possono aggiungere altri 30 milligrammi litro. Per paradosso l’Europa considera biologico un vino che ha più solforosa di uno convenzionale. E a rigor di legge anche i nostri produttori bio devono scrivere sulle bottiglie: contiene solfiti. Ma la sorpresa più grande è nell’elenco delle sostanze ammesse in vinificazione. Certo non ci sono quelle di sintesi, matutto l’armamentario che un enologo può usare in cantina per avere vini migliorati, più chiari, più rotondi sì. E già qui uno si chiede, ma la differenza tra biologico e non dov’è? Secondo capitolo: i biodinamici. Sarebbero i superbiologici, quelli ottenuti da coltivazione secondo il metodo staneriano che prevede rispetto delle fasi lunari, trattamenti in vigna solo con sostanze naturali. E fin qui ci siamo. Ma quando si va in cantina? Praticamente tutto uguale agli altri con una semplice raccomandazione contenuta nel disciplinare Demeter (la più antica e potente associazione di produttori biodinamici che autocertifica i vini e vende anche i prodotti ammessi nel biodinamico) in cui è scritto “i metodi fisici sono da preferire ai metodi chimici”. Per i biologici e per i biodinamici sono ammessi zuccheraggi, micro-ossigenazioni, riscaldamento in fase fermentativa, refrigerazioni, inoculazioni di lieviti. Insomma quello che fa una normale cantina che punta alla qualità. Con in più un problemino: quello delle alfatossine (si sviluppano da microfunghi) in vigna. Chei “bio” - in assenza di chimica - non sanno bene come combattere e che se si travasano nel vino fanno decisamente male. Negli Usa, il vero eldorado del bio, la normativa è molto più stringente. Tanto che i total organic non possono contenere solforosa. E infatti si ossidano in fretta e puzzano. Il Vinitaly ha dedicato quest’anno un intero salone nel salone (Vivit) ai vini bio. Degustati ce ne sono alcuni buonissimi, altri mediocri, altri che puzzano. Però sono nate associazioni che definiscono i bio “vini veri ” come se gli altri fossero finti. E nel mondo del vino emerge ora la solita diatriba tra bio e non bio come ai tempi della finta alternativa tra autoctoni e alloctoni. Il sospetto che dietro i cosiddetti bio ci sia molta propaganda e poca sostanza viene osservando quanta enfasi mettono i produttori furbetti (ci sono anche quelli che ci credono davvero e allora chapeau) nel rivendicare la loro naturalità. Ma perché non spostiamo il ragionamento dal prodotto all’azienda? Una cantina bio dovrebbe non usare macchine alimentate a combustibili fossili, non dovrebbe sprecare acqua, dovrebbe avere energia da fonti rinnovabili, dovrebbe bandire la plastica, ridurre o azzerare l’impronta carbonica. E ancora - come predica Marco Simonit inventore della scuola di potatura - dovrebbe rispettare le piante. La vite è - lo insegna il professor Attilio Scienza - una liana che tende a usare le altre piante per salire in alto. Perchè i bio e soprattutto i biodinamici non lasciano le vigne striscianti? E perché fanno potature a verde, tagli radicali per avere sistemi di allevamento a guyot o a cordone speronato? E la fittezza degli impianti è rispettosa della naturale vocazione della vite ad espandersi?La questione è posta. Viene spontanea una domanda: ma cos’è questo bio? È stato importante che sorgesse il movimento perché ha costretto anche i produttori tradizionali ad abbassare la chimica in vigna e in cantina, perché pone il problema della sostenibilità agricola. Ma è più biologica Salcheto che non usa energia da fossili (e al Vinitaly aveva uno stand alimentato a pedali) o una delle aziende Muratori che matura il vino in terracotta o chi fa bio-proclami e poi gli dà di solforosa? E ancora: un produttore di spumante metodo classico ( o champenoise) che è il solo vino non filtrato per definizione è biologico anche se non lo sbandiera? E la qualità del vino bio è superiore organoletticamente o solo filosoficamente? Il prezzo mediamente più alto è determinato da un reale vantaggio per il consumatore o è un abile combinato-disposto del bio-marketing? Per una volta i soloni del biologico vogliono dirci davvero dove sta la differenza? Perché altrimenti ci viene da dire con il principe De Curtis, alias Totò: biologico? Ma ci faccia il piacere!

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