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MONTALCINO, DOPO IL BRUNELLO ARRIVANO LE PRUGNE

Si importano in grande quantità dalla California (i marchi più famosi sono Sunsweet, Saratoga, Dole) e dalla Francia, i due maggiori produttori mondiali che grazie a tecnologie avanzate, strutture organizzative interprofessionali, rapporto qualità-prezzo, si sono assicurati ormai il successo nella produzione e nel commercio. Ma anche l’Italia avrebbe buone prospettive di mercato, ma non riesce, per tutta una serie di remore strutturali ed imprenditoriali, a collocarsi nella stessa posizione dei cugini francesi. Le regioni dove la produzione è più sviluppata sono l’Emilia Romagna e la Campania. Ma anche la Toscana si difende, con una buona produzione concentrata soprattutto nel territorio di Montalcino. Stiamo parlando delle prugne, un frutto considerato minore (da consumarsi fresco, essiccato o cotto, o utilizzato per marmellate e confetture) che la Castello Banfi, una delle più importanti aziende agricole italiane, coltiva su terreni leggermente declivi situati alla confluenza dei fiumi Orcia ed Ombrone, estremo margine sud del territorio di Montalcino; una produzione di grande quantità e della tipologia più ricercata dal mercato (la cultivar “d’Ente” è infatti la migliore selezione, per qualità, delle prugne d’Agen) che pone l’azienda di Montalcino tra i leaders in Italia. “Questa produzione era ed è - commenta l’amministratore delegato della Castello Banfi di Montalcino, Ezio Rivella - importante per la nostra azienda: la superficie di susini è di 70 ettari per un raccolto di circa 11.000 quintali all’anno che danno 3.000 quintali di prugne essiccate, ovvero il 20% della produzione nazionale di prugne. Una coltura agricola rilevante, anche se comunque marginale rispetto a quella dei nostri vini”. Ma quali sono i dati nazionali di questa piccola produzione agricola in Italia? “Il nostro è l”unico Paese - si legge in uno studio del professor Silviero Sansavini del Dipartimento di Colture Arboree dell’Università di Bologna - dove la produzione di prugne viene in minima parte destinata all’industria di trasformazione e quella che vi giunge è quasi interamente essiccata. Non si hanno dati statistici ufficiali né si sa quanta parte delle nostre susine (prugne incluse) sia destinata alla sciroppatura, all’estrazione di succhi, alle confetture e all’essiccazione (quota principale). Le stime ufficiose indicano appena 15.000 quintali all’anno di prodotto essiccato, mentre, considerando gli ingenti quantitativi importati soprattutto dalla California, il mercato italiano assorbirebbe circa 120.000/140.000 quintali di prodotto essiccato. Il consumo annuo pro-capite è stazionario intorno ai 150 grammi”.

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