02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

Panorama

Il Professore vignaiolo … Luigi Molo insegna Enologia all'Università Federico li di Napoli ed è un’autorità nel mondo del vino. Con sua moglie guida Quintodecimo. Più che una cantina, un progetto di vita… Lo scorso giugno, Falstaff, autorevole magazine tedesco, nonché bussola per i vigneron di casa nostra (non dimentichiamo l’importanza del mercato teutonico per l’Italia), ha selezionato 101 vini che meglio di altri sarebbero capaci di raccontare il Belpaese. Secondo la rivista, il Taurasi Riserva Vigna Grande Cerzito di Quintodecimo, peraltro scelto e recensito anche dal nostro critico Daniele Cemilli nella pagina accanto, è l’etichetta che ha in sé i colori, i profumi e l’anima della Campania e più precisamente dell’Irpinia. Questo attestato di stima non stupisce affatto: l’Aglianico in purezza sotto i riflettori è “figlio” di Luigi Moio, un gigante nel panorama mondiale vitivinicolo. Professore ordinario di Enologia alla facoltà di Agraria dell’Università Federico II di Napoli, presidente dell’Oiv, Organizzazione internazionale della vigna e del vino e autore di centinaia di pubblicazioni scientifiche sul tema, nel 2001 con la moglie Laura Di Marzio ha fondato a Mirabella Eclano, in provincia di Avellino, la sua azienda, Quintodecimo per l’appunto, coronando un sogno che, visto il curriculum, è davvero la quadratura del cerchio, un’estensione naturale di una vita spesa al servizio del prezioso nettare. Del quale Moio ha una visione molto precisa che, oltretutto sintetizza, quasi fosse un manifesto, nel sito ufficiale della sua cantina alla voce Storia. Nero su bianco, con tanto dí firma, si legge: “Il grande vino è una fusione perfetta tra scienza e poesia, tra il misurabile e l’imponderabile. È essenzialmente bello. È un’opera d’arte. Una sorta di trasfigurazione della materia prima. Esso nasce dal mosto come una statua nasce dalla pietra e chi realizza un grande vino è colui che scava nella pietra, avendo già in mente il risultato finale. Ovviamente per fare questo deve possedere solide basi scientifiche. Deve avere il controllo dell’intero ciclo, attraverso il possesso di cognizioni più varie, dalla conoscenza del suolo, alla fisiologia dell’uva, dai processi biochimici alla base della trasformazione dell’uva in vino, ai meccanismi della percezione sensoriale. Questi concetti costituiscono l’essenza del mio modo dì vivere il vino”. Ebbene, da quel 2001 a oggi, i coniugi, con i loro tre rossi, ottenuti dal vitigno iconico del luogo, l’Aglianico, e i tre bianchi, nati dalle più note bacche bianche di Fiano, Greco e Falanghina, hanno fatto breccia nel palato e nella penna della critica internazionale, collezionando un successo dopo l’altro. A muovere tutto, oltre a una acclarata conoscenza dell’argomento, c’è, come in moltissime storie di vino, L’amore perla terra ereditato da chi lo ha preceduto. Luigi Moio è figlio d’arte. Il padre Michele è stato uno storico produttore campano che negli anni Cinquanta ha avuto la felice intuizione di rilanciare il Falerno, tra i più antichi vini del mondo, già apprezzato in epoca romana. E il richiamo del sangue, si sa, è forte quanto quello per la terra.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su