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Panorama

L’annata in arrivo ... Paiono lontanissimi i tempi in cui sir Winston Churchill alla Camera dei lord portando il Regno Unito in guerra incitava: “Noi non combattiamo per la Francia, ma per lo Champagne”. Sia detto per inciso: la riserva che produceva per lui e ancora si produce col suo nome Pol Roger è un gran bel bere. Solo che ora le cose sono molto cambiate: l’Europa combatte lo Champagne come il Chianti, il Barolo come l’Amarone. i grandi bordolesi come i Douro, i Cava come i Borgogna. Vuole cancellare il vino e ci sta riuscendo. L’intento come d’ordinanza è presentato come nobile: l’alcol fa male. Lo dice l'Organizzazione mondiale della sanità, lo sostiene l’Europa stessa e in Italia ci sono cantori del dieteticamente corretto, come la già “virostar” Antonella Viola, che sostengono che bere vino riduca le dimensioni del cervello. Che l’Unione italiana vini, presieduta da Lamberto Frescobaldi, da anni abbia avviato campagne sul beve responsabile evidentemente non conta come non conta che la scienza abbia prodotto numerosi studi sui benefici di un consumo ridotto di vino. Del tutto trascurabile è che questa bevanda sia un componente della dieta mediterranea patrimonio Unesco e abbia significati culturali altissimi e ancestrali. Il NutriScore, la famigerata etichetta a semaforo che l’Europa a settembre vuole ripro-porre come obbligatoria, indica il vino col bollino nero, quello dell’infamia, e l’algoritmo mica può tenere conto della Bibbia! Ogni volta però dietro il matemage dell'Europa si scoprono un po’ di ombre. Il fatturato della Red Bull è vicino ai 10 miliardi di euro: da sola vale tre quarti del vino italiano! Quello complessivo degli “energy drink” è 37 miliardi. I ricavi delle bevande analcoliche in Europa valgono più o meno 1.170 miliardi con un tasso di crescita da qui al 2026 del 9 per cento, il fatturato della birra che produce 35 miliardi di litri (il 5 per cento è analcolica) in 10 mila aziende è vicino ai 500 miliardi. Lenvenbrau vale 57 miliardi, Heineken 38, Stella Artois 36. Il fatturato totale del vino in Europa fatica ad arrivare a 100 miliardi. Frans Timmermans, il vicepresidente della Commissione europea, ha promesso che il Green deal deve andare avanti “wathever it takes”, travestendosi da (Mario) Draghi verde, è convinto che l’agricoltura sia incompati-bile con l'ambiente. E ce l’ha con il vino. Ora che il primo esportatore di birra nel mondo siano i Paesi Bassi è forse solo un dettaglio. Di fronte al ridimensionamento della legge per il ripristino della natura - approvarla secondo i voleri originali della Commissione avrebbe significato rinunciare a un quarto della terra coltivata in Europa e all’uso sia di fertilizzanti sia di fitofarmaci - Timmermans ha parlato di un attacco sovranista alla democrazia. Tra i filari d’Europa e segnatamen-te d’Italia di attacchi che fanno paura ce ne sono altri: quello della peronospora. Senza fitofarmaci è difficile uscirne. In Abruzzo. Molise. Campania, Basilicata e Puglia si stima che il fungo killer della vite abbia attaccato tra il 20 e 1.80 per cento della superfice. Il paradosso è che per qualcuno i mancatiraccolti, dovuti alle abbondanti Piogge che hanno compromesso le vigne delle Langhe e del Roero, distrutto i vigneti della Romagna e in parte delle alte Marche, causato danni ingenti in Veneto dove è comparsa un'altra patologia (la flavescenza dorata) sono il male minore. Le giacenze in cantina in Italia sono ai massimi: 66.3 milioni di ettolitri - una vendemmia e mezzo - e alla nuova raccolta non manca molto. Se si produce meno nell'immediato aiuta tant’è che, comparsa la peronospora, i vini sfusi hanno avuto un rincaro del 16 per cento. Ma è un fuoco di paglia: una volta attaccate dalla malattia le vigne sono perse per sempre. Dice Riccardo Cotarella, presidente degli enologi mondiali: “La proposta dell’Ue sui fitofarmaci è irrealistica così come dall’Oms vengono attacchi folli alla vitivinicoltura”. In questo quadro i produttori sono alle prese con la crisi di domanda. I fattori sono essenzial-mente tre: l’inflazione riduce il potere di acquisto in tutti i mercati evoluti con l’aggravante in Europa, e soprattutto in Italia, della manovra della Banca centrale europea che, alzando i tassi, sottrae soldi dalle tasche dei consumatori; la martellante dissuasione dal consumo di alcol intrapresa dall’Unione europea che ha dato il via libera alle etichette terroristiche dell’Irlanda e orienta i consumi verso altre scelte; infine, la sovrapproduzione mondiale. In Francia a Bordeaux sono stati spiantati 9.500 ettari di vigneto - il 10 per cento dei filari - ed è stata avviata la distillazione di crisi anche in Borgogna. In Catalogna e in Extremadura le distillerie stanno smaltendo le giacenze di vino spagnolo arrivate a 78 milioni di ettolitri. Perfino l’Australia ha una gravissima difficoltà nelle cantine, con 11 milioni di ettolitri invenduti. E l’Italia? Purtroppo non fa eccezione. Di distillazione di crisi si è cominciato a ragionare al cosiddetto “tavolo vino” del ministero Agricoltura e sovranità alimentare: bisognerebbe smaltire almeno 3 milioni di ettolitri. La verità dei numeri lascia poco spazio alle iperboli di comunicazione: nel 2023 gli stock sono aumentati, rispetto a un anno fa, del 5,1 per cento e per i vini a denominazione va anche peggio: più 8,6. Lamberto Frescobaldi, presidente di Unione Italiana Vini, ha messo le mani avanti: “Non prendete i fondi per la distillazione da quelli destinati alla promozione». Peraltro partiti in ritardo. Sono convinti, all’Unione italiana vini, che un rilancio di promozione possa servire, ma nel frattempo insistono perché sì avvii e si riconosca la produzione di vini dealcolati. Il tema più preoccupante è la crisi dei “rossi”: hanno perso il 4,3 per cento di export e I’8 per cento di consumo in Italia. I grandissimi vini come quelli di Angelo Gaia, il re del Barbaresco e l’uomo immagine del vino italiano. vanno benissimo: il 60 per cento delle vendite di vini rossi è appannaggio di chi ha prezzi sopra ì l 5 euro a bottiglia. Il segmento top - vale circa 2 miliardi di curo - è cresciuto del 200 per cento in un decennio. Complice il nuovo profilo di consumo: in Italia i bevitori sono il 55 per cento della popolazione over 14, ma se dieci anni fa sette su dieci bevevano tutti i giorni, oggi il 68 per cento beve solo saltuariamente. Per fare fronte alla crisi si cercano innovazioni. Il Chiami classico, che ha nel Castello di Brolio del fu Barone Beffino Ricasoli la sua mecca, ha dato via alle Uga, ossia le sottozone per rendere ancora più riconoscibili e territoriali i vini. Nel contempo, però, in Toscana l'imbottigliamento è in caduta del 9 per cento. Nonostante gli uffici stampa - seguendo un cliché di comunicazione che appare invecchiato - per nascondere la crisi lancino proclami di grandi successi: il Vermentino è il vino dell’estate, il Prosecco va alla grande ed è vicino al miliardo di bottiglie, i dati reali cominciano a spaventare. Nei primi tre mesi abbiamo perso circa il 4 per cento di export e l'1 per cento in valore (negli Stati Uniti che è il nostro primo cliente abbiamo una diminu-zione dì nove punti) e pure gli spumanti arretrano di cinque punti in volume e fatino pari col prezzo; in casa nella grande distribuzione vendiamo il 6,1 per cento in meno e l’online crolla di 22 punti. Le previsioni (studio Uiv-Vinitaly) sono che quest’anno i bilanci delle cantine, assediati anche dai costi in crescita esponenziale, registreranno un calo di 16 punti di fatturato. Per un settore leader del made in Italy (13,8 miliardi di euro di fatturato. di cui quasi 7 dall’export, attesi per il 2023) non c’è male. Ma che importa? Beviamoci su. Con moderazione. altrimenti l’Europa s’indigna.

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