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Panorama / Economy

Lo spot arriva in prima visione ... Costa Crociere nel film natalizio di Neri Parenti, ma anche la pasta Granarolo, Tim e Montblanc. Si allunga la lista di chi sceglie una forma di pubblicità che può garantire una buona visibilità. Con soli 150 mila euro... Raggiungere un panel di consumatori più ampio possibile è diventato una vera ossessione per le aziende, che pur di centrare l’obiettivo sfruttano tutti i canali a disposizione. Comprese le pellicole cinematografiche, utilizzando quello che in gergo viene chiamato product placement. Negli Usa è un vero boom. Basti dire che le case del lusso stanno facendo la fila per piazzare i propri prodotti nelle scene del film Sex and the City. Ad attrarli è il grande successo registrato dall’omonima e fortunatissima serie tv, che ha fatto la fortuna di alcuni brand come Manolo Blahnik o Jimmy Choo (ma anche Apple e Durex). “Negli Usa la tv ha svolto un ruolo fondamentale di avviamento al product placement” commentano ai piani alti di una società di consulenza italiana. In Italia invece la possibilità di inserire prodotti di marca nella trama di un film è stata introdotta solo da quattro anni, ma farlo in televisione è ancora vietato, anche se l’anno scorso la Commissione europea ha approvato una direttiva che estende l’uso di questa pratica al piccolo schermo.
Fatto sta che il product placement piace e le imprese che lo hanno scelto sono già numerose. Costa Crociere, per esempio, ha trasformato la sua nuova nave Costa Serena in un vero e proprio set per il film di Neri Parenti Natale in crociera. Operazione che ha garantito alla società una grande visibilità e poco importa se sullo schermo si sono viste cabine-suite che nella realtà poi non esistono. Tra gli altri, la pasta Granarolo è apparsa nel film Cuore sacro di Ozpetek, mentre Montblanc campeggiava in alcuni ciak di Commedia sexi, in compagnia di Direct Line e del settimanale Chi di Mondadori. Mentre Tim è apparsa in Quo vadis baby? di Salvatores e in Centochiodi di Olmi. Ci vuole più serietà. C’è chi azzarda in almeno 20 milioni di euro il totale delle risorse messe a disposizione dalle aziende italiane nel 2007 per essere presenti all’interno di film in modi diversi: dalla citazione verbale alla presenza del logo; dall’offerta di materiali di scena, riconoscibili, all’abbigliamento dei protagonisti.
Ma se si misura quanto di questo investimento sia finito nelle casse dei produttori, si scende a non più di 7-8 milioni, concentrati in una decina di pellicole, perché spesso le nostre aziende preferiscono investire in produzioni straniere. Come è successo con i vini Santa Margherita, che sono apparsi in alcuni episodi della serie televisiva americana C.S.I.
L’uso del mezzo da parte delle nostre aziende va ancora messo a fuoco. Per avere ritorni efficaci, per esempio, la scelta del film nel quale inserire il prodotto dovrebbe essere più mirata. Va poi considerato che, anche per questo tipo di comunicazione, l’audience non basta. “Occorrono ricerche qualitative per sapere se si è speso bene il proprio denaro” avverte Marina Marzotto, socia italiana di Propaganda Gem (Global entertainment marketing). “E non è detto che nominare un marchio valga meno della sua inquadratura”. Anzi. “Le nostre rilevazioni” dice Marzotto “dimostrano il contrario”. Soprattutto se graficamente poco noto.
Insomma, è uno strumento da valutare più seriamente, considerato che la soglia di ingresso è molto più bassa di quella necessaria per uno spot televisivo: bastano 150 mila euro l’anno per fare operazioni di grande risultato.

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