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Panorama / Economy

L’export che ci tiene a galla ... Nei prime 5 mesi del 2008, mentre i consumi calano e l’inflazione galoppa, il “made in Italy” ha continuato a vendere bene sui mercati: l’11,2% in più del 2007. Ora il risultato va consolidato. Con una stagione di riforme... Il made in Italy batte ancora la crisi. Almeno sui mercati esteri. Con le Borse in affanno, i consumi interni al palo (in maggio la contrazione su base annua è stata del 2,7%, con una domanda di beni e servizi mai così bassa dal 1996), burocrazia e pressione fiscale che non arretrano, oggi più che mai a tenere la sua bilancia commerciale sono le esportazioni. I numeri messi in fila dall’Istat dicono che nei primi cinque mesi del 2008, rispetto allo stesso periodo del 2007, l’export italiano è cresciuto dell’11,2%. Se si considera il solo maggio, l’aumento complessivo rispetto a un anno fa è stato del 3,4%.
Una performance che ha quasi del miracoloso, visto che oggi la recessione investe soprattutto Stati Uniti e Unione europea, tradizionalmente i nostri mercati di riferimento.
Ma se in queste due aree le vendite dei prodotti frenano (in maggio i saldi sono stati negativi rispettivamente per il 13,4% e per il 12,7%) a controbilanciarli ci hanno pensato quelle emergenti. Come il Medio Oriente (scambi in crescita dell’11,2% tra aprile e maggio), la Turchia (più 11,8%), la Russia (più 17,2%) e il Sud America (più 19,7%).Un ulteriore segnale di come la reazione delle nostre imprese alla crisi internazionale sia stata rapida e puntuale. Più rapida e puntuale, senza dubbio, di quella messa in campo dal sistema pubblico di promozione e di tutela sui mercati esteri. Da anni la rete di agenzie, enti, ambasciate, consolati e uffici di corrispondenza manca di una regia in grado di assicurare alle imprese, e soprattutto a quelle piccole e medie che di questo sviluppo sono il motore, un’assistenza adeguata anche nelle aree più difficili. A chiedere un taglio drastico di tempi e costi burocratici, magari evitando duplicazioni, sono gli stessi imprenditori.
Ancora un aumento. Secondo il sondaggio, un manager su tre è convinto che nel corso del 2008 le esportazioni della sua azienda aumenteranno ancora. L’ottimismo nei confronti dei propri prodotti e delle proprie strategie si scontra tuttavia con una percezione piuttosto negativa del nostro sistema di assistenza: appena un imprenditore su tre, infatti, giudica positivamente l’operato di Ice, Simest, Sace e Camere di commercio estero (e la quota sale a due terzi se si considerano i soli esportatori). Tra le principali cause d’inefficienza, la maggioranza assoluta degli intervistati indica “l’eccessiva frammentazione di enti e incentivi”. Segue “l’incompetenza dei funzionari”, mentre la carenza di fondi si piazza solo al terzo posto. Per il 48,5% degli intervistati, infine, lo stesso Ice andrebbe riformato. Gli imprenditori e i quadri contattati dalla Fondazione Istud, insomma, sembrano concordare con quanto ribadito da Adolfo Urso: il 20 giugno, illustrando le linee guida del commercio estero italiano per il triennio 2008/2010, il viceministro alle Attività produttive ha spiegato che per promuovere e assistere il made in Italy all’estero “non servono più fondi: basta utilizzare in maniera sensata le risorse a disposizione”.
Sono due le direttrici sulle quali si muoverà il governo Berlusconi nei prossimi due o tre anni. Per quanto riguarda i mercati di sbocco, saranno mantenute le priorità fissate all’inizio del 2007 dall’ex ministro Emma Bonino: a una crescita degli investimenti e delle missioni verso i Paesi “Bric” (Brasile, Russia, India e Cina) e verso i “mercati di prossimità” a crescita più alta (Turchia, Europa orientale e Mediterraneo) farà da contraltare un impegno più contenuto, anche dal punto di vista delle risorse umane, nei confronti di Stati Uniti, Unione europea e Giappone, con iniziative che privilegeranno i settori ad alto valore aggiunto, come la meccanica.
Anche le strategie di semplificazione prenderanno le mosse dal piano Bonino: Urso sembra orientato ad accelerare sul fronte dello “Sportello unico per le imprese”, che dovrebbe unificare in ogni capitale le funzioni prima esercitate in ordine sparso da Ice, Sace, Simest e Camere di commercio, oltre a fornire un’assistenza puntuale anche alle imprese straniere orientate a investire in Italia. Da Roma, una “cabina di regia” coordinata dal ministero per lo Sviluppo economico si occuperà invece di stabilire obiettivi e campagne di comunicazioni comuni per quanto riguarda lotta alla contraffazione e accesso agli incentivi. L’ultimo e decisivo passo, però, toccherà al Parlamento: il governo si è infatti dato 18 mesi di tempo per stilare un testo unico sul commercio estero che semplifichi e riduca le quasi 300 norme che oggi regolano il settore.

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