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Panorama

Storie di vino - Valpolicella, una vera sorpresa. Stappando le grandi bottiglie della dinastia Dal Forno … Ecco che Luciana Carraro ha una nuova sorpresa. Mi prende da parte, con il marito Antonio, in un angolo del giardino della loro meravigliosa casa cortinese e mi allunga una bottiglia. Roba da carbonari. “Ne abbiamo solo tre”, mi sussurra. Al buffet siamo una cinquantina. Non vedo in giro il Signore di Cana, dunque bisogna nascondersi. Stappiamo il frutto proibito: è un Valpolicella ’99 del solito Romano Dal Forno. Perché dico il solito? Perché dai Carraro i suoi vini sono di casa, fuori un po’ meno perché sono rari e costano un patrimonio (“Non ti toglie un euro nemmeno a strozzarlo” dicono i suoi clienti). Qui conobbi lo strepitoso Amarone del ’97 (162 euro al pubblico, l’annata ’98, roba da far viaggiare la bottiglia con una scorta di vigilanti), qui m’innamorai dell’inarrivabile Recioto della stessa annata (60 euro la bottiglia). Mai assaggiato niente di simile. Ma Dal Forno, per posta prioritaria, scuote la testa. “E’ inutile che le mandi la documentazione del Recioto” mi scrive “riesco a produrlo solo in pochissime occasioni e l’ultima annata è il ’97 che lei ha assaggiato”. Non conosco Dal Forno. Non dev’essere né giovane né vecchio. Ha un’adorazione per il nonno che già tanti anni fa guardava alla qualità dei vini quando contava solo la quantità. Ha comprensione per il padre, meno fortunato. Renato ha preso in mano l’azienda da 21 anni. Non vorrei avere con lui una discussione condominiale. Preciso e forse pedante fin nel firmarsi (ma solo sull’etichetta tradizionalissima) Dal Forno Renato, col cognome prima. Per spiegarmi dove sta la sua azienda (la Val d’Illasi, a est di Verona) mi fa, in un italiano scrupoloso ed elegante, una lezione di cartografia militare, quasi che dovessi bombardarla. In ogni caso, giù il cappello. Dicevo del Valpolicella assaggiato a fine estate (46 euro). E’ stata la sorpresa maggiore. Nel Veronese decine e decine di aziende mettono insieme da sempre Corvina e Corvina grossa, Rondinella e Oseletta e Croatina. Escono Valpolicella che inondano le mense aziendali, i vagoni ristoranti e il catering della mia amatissima Alitalia, ahimé decaduto. Per dire che è un vino semplice e di massa. Poi naturalmente c’è una ridottissima serie A. poi c’è la Coppa dei Campioni, il Valpolicella di Dal Forno gioca qui. Le uve (tranne la Corvina grossa) sono le stesse dell’Amarone. Viene il sospetto che tanta delizia, del tutto inconsueta per un Valpolicella, derivi da una parentela di lavorazione clamorosa.

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