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Panorama

Il romanzo del (buon) vino ... Un'immagine di Helmut Newton tratta dal recente volume 11 fotografi 1 vino pubblicato dalla editrice Skira
Un tempo per fare colpo su una donna si stappavano bottiglie francesi che evocavano lusso e lussuria. La riscossa dei vitigni nostrani è in atto da una quindicina di anni. Da Nord a Sud si inaugurano enoteche che diventano templi della nuova socialità.E i veri intenditori diventano star.

C'era bellissima quella sera di marzo di molti anni fa. Il sollievo d'aver finito la giornata nel quotidiano romano dove lavoravamo la rendeva più aguzza e più trasparente. Era inteso che avremmo cenato assieme. «Scegli tu il ristorante. L'importante è che ci sia una bella bottiglia di vino in tavola» mi disse. Che aveva perfettamente ragione: nulla come il vino colora una serata di un uomo con una donna, nulla quanto il vino le dà musica e profondità. C'è una foto di Helmut Newton, in questo recentissimo volume fotografico pubblicato da Skira, 11 fotografi 1 vino, dove quattro ragazze sono sedute a un tavolo, quattro ragazze alla maniera prediletta da Newton e di cui vi è facile immaginare quanto siano sensuali e discinte, ognuna delle quali ha in mano un calice di vino o lo sta sorseggiando, ed è come se quel gesto stesse modificando e accendendo ognuna di loro.

L'importante è mettere in tavola una buona bottiglia. Lo raccomandava in un suo gustoso libro del 1926, La cucina dell'amore, il dottor Omero Rompini, lui che aveva apprestato «un manuale culinario afrodisiaco per gli adulti dei due sessi». A seconda che un uomo invitasse a cena «una bionda» o «una bruna», il menu andava adeguatamente predisposto. E i vini adeguatamente calibrati. Arrivava a casa una morbida bionda? Andava messo in tavola un Sauterne e più tardi uno Champagne Veuve-Clicquot. Arrivava una bruna sferzante? Uno Chateaux Margaux e, a chiudere, uno Champagne Pomméry Greno. Erano difatti i tempi dello stradominio del vino francese, il vino che di per sé evocava il lusso e la lussuria. Oggi, quasi ottant'anni dopo, le gerarchie dei vini e del loro consumo sono cambiate.

Dura ormai da 15 anni la riscossa degli italiani, vini piemontesi, marchigiani, siciliani, pugliesi con cui avvolgere le bionde e le brune che se lo meritano. Centinaia i locali, dappertutto in Italia, che hanno per tappezzeria le bottiglie di vini italiani di qualità. Locali frequentati innanzitutto da giovani dove l'importante non è il pezzo di salame o il pezzo di formaggio che arriva in tavola, bensì la qualità del vino che avete scelto. Vini di cui conta come li conservi, come li stappi, come li versi. Calici da manovrare con cura e garbo, tanto è prezioso il liquido che contengono. Al punto che sono divenuti delle star i cuochi e gli intenditori che per i meandri del buon bere vi portano per mano. Uno come Edoardo Raspelli (di cui la Mondadori ha appena pubblicato una summa degli scritti, Italiagolosa) ha difatti assicurato per 500 mila euro il suo olfatto e il suo gusto.

Bere bene, bere italiano: non è più il tempo, ha scritto di recente uno scrittore e gourmet quale Giorgio Soavi, in cui entri in un ristorante di qualità e va da sé che ordinerai un vino francese. Nel made in Italy più sfolgorante di creatività, assieme a Renzo Piano e Dolce e Gabbana, a Ettore Sottsass e Riccardo Muti, c'è adesso il vino, quello che racconta ed esalta la nostra storia. Provate a entrare da Ferrara lì a Trastevere, il locale romano che s'è guadagnato l'Oscar 2003 come miglior enoteca italiana. Vi portano il menu, ed è ovviamente di gran qualità: ma il bello viene quando vi portano la carta dei vini. Due volumoni massicci quanto due tomi della Treccani, 1.100 vini in tutto, tra rossi e bianchi. Scegliete pure.

C'è nulla come il vino che sia un prodotto principe del nostro Paese e che ne racconti la storia, regione per regione, comune per comune, le colline del Veneto come il sole della Sicilia. Uno che dell'esaltazione del vino di qualità è stato l'antemarcia, Luigi Veronelli (scomparso da poche settimane), diceva che ciascun comune italiano aveva un suo bel vino e poco contava che si rivestisse della patente di doc. Veronelli era uno che già venti o trent'anni fa andava in televisione e cominciava con un «Dicono che il vino sia come una droga, una cosa cui ci si assuefà», dopo di che faceva una pausa sapiente per poi pronunziare un sonante «Bastardi!» rivolto al telespettatore. E voleva dire che sono dei bastardi quelli che non amano il vino, quelli che restano indifferenti al buon bere.

Veronelli aveva già 76 anni quando lesse su una rivistina l'elogio di un Rosso piceno da 8 euro a bottiglia, elogio che portava la firma di Pablo Echaurren, un pittore e scrittore poco più che cinquantenne da sempre attentissimo al buon vino (quattro anni fa ha pubblicato un Diario culinario dov'era la schedatura pietanza per pietanza e bottiglia per bottiglia di 140 ristoranti italiani da lui frequentati come buongustaio). Veronelli che non conosceva Echaurren gli telefonò, non lo trovò e lasciò detto nella segreteria telefonica un saluto. Dopo di che divennero amici e sodali, tanto da avere scritto un libro a quattro mani, un libro dove il mangiare e il bere fanno da canovaccio del cercare l'Italia e capirla. Veronelli ormai cieco, Echaurren gli faceva assaggiare di tanto in tanto qualche vino che non conosceva. Di uno di questi vini gli chiese solo alcuni giorni dopo che cosa pensasse. «Sì mi ricordo» rispose Veronelli «era un vino che sapeva di foglia bagnata, ma non decadente».

Vini che raccontano le pietre, il vento, la luce del nostro Paese. «Il vino migliore deve avere come un'inflessione dialettale» raccomanda Gianfranco Bolognesi, che nel 1974 è stato insignito della palma di primo sommelier d'Italia e che oggi dirige uno dei migliori ristoranti italiani, La Frasca di Castrocaro Terme. Quando Bolognesi aveva cominciato la sua carriera di ristoratore, nel 1971, che lui si presentasse ai suoi clienti con un carrello su cui erano le bottiglie di vino da scegliere era un'eccezione tra i ristoranti italiani del tempo. La norma era che ci fossero due o tre vini da scegliere, non di più. «Ancora vent'anni fa su dieci bottiglie di vino che aprivi cinque erano difettose o puzzavano» ricorda Lina Paolillo, quella che con sua sorella Maria s'è inventata 18 anni fa gli otto tavoli da cui è cominciata la storia dell'Enoteca Ferrara, anche lei una che ha cominciato dal basso per poi studiare da sommelier.

Negli ultimi dieci o vent'anni tutto è cambiato. Sono stati centinaia gli imprenditori che hanno investito miliardi nel vino di qualità, in quel romanzo che comincia dalla scelta del vitigno e passa per la qualità del legno in cui lo conservi, per la pulizia della cantina, per la cura di ogni dettaglio anche minimo. Va all'assalto una nuova leva di imprenditori che ama questo mestiere e che lo fa al meglio, a cominciare da siciliani come i Planeta che hanno dato lustro enologico a una regione di cui era immensa la potenzialità e scarsissimi i risultati. C'è chi ha passato una vita ad amare l'arte e a collezionarla, come il romagnolo Adriano Galli, e che ha cambiato mestiere a sessant'anni, dopo avere letto in un testo del Quattrocento che la sua zona (Montefeltro) era stata allora madre di un ottimo vino. S'è venduto le stampe del Cinquecento e le prime edizioni di Luigi Pirandello per impiantare una vigna di Sangiovese e andare alle radici e alle origini del suo territorio. Tempo ancora un paio d'anni e dagli 8 ettari della sua vigna usciranno 30-40 mila bottiglie di qualità. «Bottiglie da curare e cui andar dietro come si fa con un bambino. Fare il vino è innanzitutto un atto d'amore» dice Galli.

Certo, un buon vino costa. E anche se una come Elisabetta Girolami, titolare e ispiratrice del Ristoro degli angeli, un'osteria alla Garbatella (Roma) dov'è allettante il rapporto tra la qualità e il prezzo, dice che loro a vendere una bottiglia di vino che costi più di 45 euro non ci pensano nemmeno un istante: «In Italia bevi buonissimi vini laziali o campani o pugliesi che paghi non più di 20 euro. A noi interessa vendere quel vino, un vino che i clienti di oggi si possano permettere. Se poi uno vuole una bottiglia del miglior Sassicaia, lo cerchi altrove».

«Una bottiglia di vino di qualità? Temo si debba partire da 30 euro» risponde Lina Paolillo, la regina dell'Enoteca Ferrara. Ma 30 euro non sono la bellezza di 60 mila lire, ossia una cifra di tutto rispetto? «No, purtroppo 30 euro sono l'equivalente di 30 mila lire» ribatte Lina.

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