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Panorama

Si fa presto a dire Prosecco ... Il vitigno veneto si diffonde all’estero. Ma proteggere l’Italia si può: con un appellativo... “Un prosecchino?”. Per Gianluca Bisol questa ricorrente domanda equivale per grossolanità all’ormai desueto “Bianco o rosso?”. Perché l’aristocrazia del Prosecco, cioè la Doc Conegliano e Valdobbiadene, non tollera confusioni né approssimazioni. Eppure, l’imprecisione di chi definisce prosecco qualsiasi vino frizzante è il prezzo che il Prosecco vero sta pagando per il suo clamoroso successo su tutti i mercati del mondo. Dal 1969, anno di creazione della Doc, i 15 comuni che la compongono hanno visto passare la produzione annuale da 5 a 45 milioni di bottiglie con costante crescita della qualità di un vino fresco, genuino, accattivante che può piacere ai bevitori esperti come ai neofiti e ai giovani. E che insieme alla cucina italiana sta conquistando il pubblico straniero. Ma chi indovina un prodotto vincente deve anche preoccuparsi di proteggerlo. Preoccupazione che ha costituito il tema ricorrente del Forum Spumanti d’Italia, appena concluso a Valdobbiadene, dove si sono incontrati centinaia di addetti ai lavori impegnati, fra una degustazione e l’altra, nel lifting dell’immagine degli spumanti italiani.
A Valdobbiadene, cuore della tradizione delle bollicine nazionali, è nato il metodo Charmat (inventato da un italiano malgrado il nome), che consiste nella rifermentazione del vino in autoclavi d’acciaio anziché in bottiglia (come avviene per il metodo classico). Il risultato: bollicine non concorrenziali allo Champagne, che esprimono gli aromi vivaci e immediati delle uve.
“Di successo si può anche morire se non si prevede una strategia di marketing a lungo raggio che consenta fra l’altro di identificarci con un appellativo più semplice e più facile da ricordare. Il prosecco è un vitigno che si sta già coltivando con successo in Australia, Brasile, Argentina: è indispensabile associare ai nostri vini una denominazione precisa e inconfondibile. Per esempio Altamarca che, oltre a evocare una qualità superiore, ha il vantaggio di richiamare questo territorio, a nord di Treviso” spiega Gianluca Bisol, la cui famiglia da più di un secolo e mezzo produce alcuni dei migliori Prosecco e Cartizze dai vigneti più vocati della zona. Una produzione limitata, messa a punto da Eliseo e Desiderio, gli enologi di casa, vinificando i vari cru uno per uno per esaltarne l’individualità. In tutto 600 mila bottiglie l’anno. Tre i fiori all’occhiello: le 30 mila ricavate dal piccolo appezzamento della famosa collina di Cartizze, con note di pera e pesca mature; le 3 mila di Passito fatto assemblando i vini di più annate; le 7 mila di Garnei, da acini selezionati e prolungato affinamento. Ma l’imprinting si ritrova marcato in tutta la produzione, a cominciare dal Crede, ideale per preparare il cocktail Bellini originale.
I Bisol sono convinti che oggi fare bene il vino non sia sufficiente. A Rolle Cison di Valmarino, magico borgo dell’Alta Marca Trevigiana protetto dal Fai, hanno ristrutturato e trasformato un antico monastero cistercense nella foresteria Duca di Dolle, ricavandone otto camere suggestive, con vista su boschi e vigneti distribuiti sul profilo ondulato delle colline. Si può fare vita contemplativa sul bordo della piscina, oppure seguire i corsi di enologia e di cucina oppure ancora andare alla scoperta di erbe e piante spontanee lungo il percorso botanico. Il rispetto degli equilibri naturali è una vocazione di famiglia: 16 dei 60 ettari di proprietà da quest’anno sono coltivati secondo i principi della biodinamica. “Non per fare un vino che si fregia di questo aggettivo, ma per la gioia di restituire alla terra le sue energie” sottolinea Gianluca. E la nuova cantina, progettata da Michele Sari dello studio parigino Hilton Mc Conico che ha realizzato i negozi Hermès nel mondo, prevede al suo interno un '"ercorso emozionale" che replicherà la suggestione di una passeggiata tra i filari.

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