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Panorama

La sostenibile leggerezza dei prezzi del Castelmagno ... Formaggi da premio, supervini e ghiottonerie di nicchia a prezzi accessibili. L’ex patron dell’Unieuro lancia Eataly, il più grande ipermercato enogastronomico del mondo... L’ottimismo è il profumo della vita. Così almeno assicurava Tonino Guerra in una pubblicità tormentone. La frase, pochi lo sanno, non è farina del sacco del grande Sceneggiatore di Federico Fellini, ma di quello di Oscar Farinetti, imprenditore piemontese, nato ad Alba tra quattro sacchi di farina (per davvero) nel piccolo pastificio di famiglia e finito, come nelle favole americane dei self-made man, a dirigere una delle maggiori reti italiane di vendita di elettrodomestici, l’Unieuro. E non solo, perché il suo ottimismo lo porta il 26 gennaio a Torino, a inaugurare il più grande supermercato enogastronomico del mondo. Undicimila metri quadrati davanti al Lingotto dedicati a cibi di piccoli produttori indipendenti, prodotti freschi, rigorosamente di stagione e con prezzi accessibili a tutti. Farinetti, 54 anni, moglie albese (mogli e buoi...) e tre figli maschi, si accende una Nazionale Super con filtro, sigaretta vintage per uomini veri, e spiega: «Io vendo il futuro: negli anni Ottanta era la tecnologia, oggi è il cibo di qualità. Siamo ciò che mangiamo e questo lo diceva il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach».
L’imprenditore filosofo è un dottore in economia mancato per pochi esami. «Mio padre aveva aperto nel 1967 uno dei primi supermercati ad Alba e nel 1978 cominciai a lavorare con lui, smettendo di studiare». Il padre di Farinetti era stato il comandante Paolo, capo della 21esima brigata partigiana Matteotti: «Lo chiamò Unieuro perché era un vecchio socialista nenniano, che sognava la grande Europa». Oltre al cibo c’era un piccolo reparto di elettrodomestici: «Erano quattro lavatrici e tre televisori, che lui detestava». Così un giorno il padre, allungando il dito verso le lavatrici, disse la frase fatale: «Ti che tei studià, beica lon», cioè «tu che hai studiato, guarda un po’ quelle cose».
Fu amore a prima vista: «I clienti venivano da me a comprare qualità della vita, gioia. Non ho mai pensato di vendere lavatrici ma scatole magiche, che esaudivano desideri». L’elettronica di consumo diventa la sua passione: «Avevo capito che per i successivi vent’anni tutto ciò che avrebbe migliorato la qualità della nostra vita avrebbe avuto una spina». Ingrandisce il reparto di quello che ormai è un ipermercato e nel 1982 apre a Mondovì, in provincia di Cuneo, il primo Unieuro dedicato solo a elettrodomestici; in sette anni crea sei punti vendita monotematici, «A 35 anni avevo deciso: volevo fare l’“elettrodomesticaro” ». E lo fa in grande: nel 1995 compra il marchio Trony dalla Rinascente, nel 2002 l’azienda ha 100 punti vendita e un fatturato annuo di 800 milioni di euro. È la prima azienda italiana per elettrodomestici, la seconda per elettronica di consumo. A Roma, alla Magliana, ha il punto vendita che incassa di più in tutta Europa: «Un gioiello». All’apice del successo, nel 1999, Farinetti decide di far conoscere al mondo il suo segreto: l’ottimismo. «Mi ritengo un mercante virtuoso, mi piace aggiungere valore ai prodotti che vendiamo». E così va a Pennabilli, un paesino della Romagna, in casa di Tonino Guerra («Per me il più grande poeta italiano vivente») per cercare di convincerlo a fare una pubblicità: «Gli dissi che anche Hemingway aveva fatto quella del Campari, ma dovetti tornare sei volte prima di avere un sì». Vendite triplicate.
Nel 2002 a sorpresa decide di vendere tutto agli inglesi della Dixon. «Avevo esaurito la mia vena creativa». E poi per chi vende il futuro quello ormai non era più il futuro: «Vedo un grande rischio. nell’elettronica di consumo, si sta andando verso il monoprodotto, come il nuovo iPhone della Apple. Presto si arriverà a un telefonino che farà da videocamera, tv, hi-fi, aprirà il cancello di casa e farà il checkin all’aeroporto. E costerà sempre meno». E così l’ottimista Farinetti riparte dal cibo di qualità, creando Eataly, marchio che riunisce il meglio delle produzioni artigianali, dal formaggio Castelmagno dop all’acqua Lurisia, e coinvolgendo l’amico di sempre Carlin Petrini, presidente di Slowfood, conosciuto ad Alba nel 1968, «quando faceva politica». «Mi interessano i cibi di alta qualità, oggi appannaggio solo del 10 per cento della popolazione, che può permettersi di andare a mangiare stellato o di fare i fichetti del gusto».
Davanti al 90 per cento della popolazione su cui lavorare l’ottimismo di Farinetti va alle stelle. «Voglio che la gente impari a mangiare bene, creare luoghi immensi dove ognuno si senta protagonista. Nelle gastronomie-gioiellerie come Peck a Milano o Paissa a Torino il prodotto ti spaventa, ti sembra già caro solo per come è sistemato sulle mensole». Davanti ai Lingotto, nei locali restaurati dell’ex opificio Carpano dove un tempo si produceva il Punt e Mes, aprirà le porte il primo paradiso italiano del gusto, dove trovare non solo cibo di alta qualità ma anche una biblioteca a tema, 200 attività didattiche all’anno e dieci ristoranti monotematici coordinati dal pluristellato chef Guido di Pollenzo. Sbucciando un mandarino venuto dalla Sicilia per Eataly, Farinetti sospira: «Mio padre mi ha sempre detto che se sei bravo a casa tua sei bravo anche fuori. Tra pochi giorni vedremo la reazione della città, ma ho fiducia in Torino: potrebbe diventare punto di riferimento per la cultura del cibo in Italia, come Lione in Francia». La prossima tappa enogastronomica potrebbe essere Genova. Per ora lo slogan è «Alti cibi a prezzi sostenibili». Niente poesia? «Non si può partire subito con un altro messaggio metafisico. Ma l’ottimismo resta. È comunque il profumo della vita».
(arretrato di Panorama del 19 gennaio 2007)

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