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Panorama

Alcol e guida: perché i controlli non funzionano … Emergenze. Pochi centri rigorosi negli esami. Lassismo verso i giovani e chi usa l’auto per lavoro. E non è obbligatorio l’unico esame che rivela l’abitudine a bere… Analisi del sangue non obbligatorie, accertamenti clinici non uniformi su tutto il territorio nazionale, progetti di educazione al bere cancellati per mancanza di fondi. C’è questo dietro il nuovo, e ricorrente, allarme per le morti causate dalla guida in stato di ebbrezza. “Da almeno dieci anni indichiamo quali sono le metodologie da seguire per togliere dalla strada i bevitori. E provo rabbia e disperazione per essere ascoltato più all’estero che in Italia”: non nasconde la propria “partecipazione affettiva” Davide Ferrara, direttore dell’Unità operativa di tossicologia forense e antidoping dell’Università di Padova, struttura di livello internazionale scelta dall’Unione Europea per un’indagine epidemiologica che partirà nel secondo semestre di quest’anno. E che servirà a uniformare leggi, controlli sanitari e sanzioni per chi, in tutta Europa, guida sotto l’effetto dell’alcol.
L’eco dell’ultima giovanissima vita cancellata a Pinerolo dall’automobilista ubriaco rimbomba nei laboratori e nelle università. E fa scuotere la testa a Franco Lodi, direttore della Tossicologia forense di Milano e altra “cassandra inascoltata” dalle varie commissioni ministeriali che si sono succedute sull’argomento. “Etichette shock sugli alcolici” dice il ministro della Salute Livia Turco. “Sequestro dell’auto” dichiara il responsabile dell’Interno Giuliano Amato. “Pene più severe” è la soluzione del ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi.
Con il filo di voce di chi quasi non ce la fa più a ripetersi, Lodi afferma invece che la soluzione, quella meno mediatica ma davvero efficace, è un’altra: “Chi viene fermato a un controllo stradale e risulta positivo all’etilometro deve fare obbligatoriamente l’analisi del sangue. E se si rifiuta, questo deve avere come conseguenza la sospensione automatica della patente”.
Nell’istituto diretto da Franco Lodi sono circa 7 mila le persone che, ogni anno, vengono sottoposte al test del cdt (carbohydrate deficient transferrin), “il solo marker che può segnalare se un soggetto è bevitore abituale e al quale, dunque, non deve essere ridata la patente fino a quando le analisi del sangue non risultano negative. Dove si fanno le cose per bene, si procede così”.
Già, ma dove si fanno le cose per bene? A parte il caso del Centro di Padova, che esamina circa 1.500 casi all’anno, dove gli screening sono accurati e la visita specialistica può durare anche un’ora e mezzo, “funzionano in generale le tossicologie forensi, ma nelle asl si fa quel che si può e in generale nelle regioni del Centro-Sud c’è più lassismo”. Questo il giudizio di Ferrara.
Mentre per Mario Spinelli, che presiede a Cuneo la commissione medico-legale (presente in ogni provincia per attestare l’idoneità alla guida) è “deleterio” che chi deve sottoporsi ai controlli sanitari, contrariamente al passato, possa scegliere dove farli e presentarsi nei centri dove è più facile farla franca.
“Da quando è entrata in vigore la legge che fissa a 0,5 milligrammi per litro il tasso alcolemico consentito nel sangue, la nostra attività è triplicata” spiega Spinelli, la cui struttura esamina circa 2 mila automobilisti all’anno, cifra che raddoppia se si considera quelli che continuano a essere monitorati. “Soltanto a un 10 per cento, però, la possibilità di tornare a guidare viene negata. La struttura pubblica non può sbarrare le porte, specie ai più giovani o a chi ha bisogno della patente per motivi di lavoro”.
Se per Mario Spinelli “le sanzioni amministrative non bastano”, mentre serve quello che definisce “l’abbraccio sanitario”, un altro passo indietro “gravissimo” viene denunciato da Raffaella Rossin, coordinatrice dei servizi di alcologia della Asl Città di Milano. “Per mancanza di fondi” spiega “il ministero ha chiuso il Progetto Icaro che ci aveva consentito di prendere in carico 1350 persone, tutte fermate perché positive all’etilometro. Ma 950 di loro erano cittadini normali, non alcoldipendenti, che avevano espresso la volontà di seguire un programma sugli effetti (e i rischi) del bere”.

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