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Panorama

Quanto ci tutela l’Europa ... Sono tre i marchi di qualità con cui Bruxelles preserva l’originalità dei prodotti agroalimentari. Ma manca ancora la chiarezza nelle etichette... Lo stop all’importazione sul mercato europeo di carne bovina brasiliana è scattato il 31 gennaio. Ma la tutela della tipicità non c’entra. Per Bruxelles il punto critico riguarda, in questo caso, la sicurezza. Da mesi il cordone alimentare e veterinario dell’Ue, che ogni anno compie decine di ispezioni nei paesi (272 quelle effettuate nel 2007 e 256 in programma quest’anno), monitorava la situazione nel paese sudamericano, per via dell’afta epizootica che ha colpito alcune regioni (tre delle quali finite subito sotto embargo). A novembre scorso un controllo degli ispettori europei aveva rilevato anche che il Brasile non era in grado di garantire un sistema di tracciabilità pari a quello di cui si è dotata l’Europa dopo la crisi della mucca pazza (capace di ricostruire l’intero percorso dell’animale dalla fattoria alla tavola). Di qui, la richiesta di mettere a punto un meccanismo di sorveglianza adeguata almeno su 300 delle 10 mila fattorie brasiliane esportatrici. Il Brasile ha risposto inviando una lista con 2.600 fattorie in regola. Ma Bruxelles non è dello stesso avviso: impossibile avere a norma tanti allevamenti in poco più di 1 mese. In mancanza di garanzie è partito il filtro: possono entrare solo carni autorizzate e provenienti da un ristretto numero di allevamenti certificati dall’Ue.
Non è cosa da poco. Il Brasile è il primo esportatore di carne bovina: circa 2,3 milioni di tonnellate, ovvero un terzo del totale mondiale. E l’80 per cento della bresaola in commercio è fatto con carni brasiliane o argentine. Anche quella nostrana.
Come è possibile? Per capirlo bisogna andare ai marchi di qualità con i quali l’Ue tutela i propri prodotti alimentari. L’indicazione geografica protetta (o Igp), per esempio, identifica “il legame con il territorio in almeno uno degli stadi della produzione, della trasformazione o dell’elaborazione del prodotto”. Questo spiega perché la bresaola della Valtellina garantisce ai consumatori, per così dire, l’appartenenza a questa regione italiana. Ma non che sia fatta con carne del luogo. Diverso è il caso della denominazione d’origine protetta (Dop) che tutela un alimento la cui produzione, trasformazione ed elaborazione hanno luogo in un’area geografica determinata e secondo specifici “parametri” di assoluta tipicità locale, come per il culatello di Zibello. Mentre la specialità tradizionale garantita (Stg) valorizza una composizione tradizionale del prodotto o un metodo di produzione tradizionale: in pratica, la ricetta. È il caso del celebre “jamón serrano” spagnolo e della mozzarella italiana.
I paesi Ue hanno fatto di questi marchi il vessillo della qualità nazionale registrando centinaia di formaggi, insaccati, carni fresche, ortofrutta e specialità varie. Così possono difendere interessi economici colossali e contrattaccare i pirati agroalimentari che spacciano i falsi per veraci. Non senza battaglie furiose. Come nel caso della feta greca, che ha perso e poi riconquistato il suo marchio Dop.
E del parmigiano reggiano, costretto da anni a difendere nelle aule della Corte di giustizia europea il suo nome dall’assonante “parmesan” di tedeschi e austriaci.
Un aiuto verrebbe da un’etichettatura più trasparente. Oggi l’Ue la prevede per carne bovina, pesce (va specificata la zona del mare di provenienza), frutta, verdura, uova e miele (da paese Ue o extra Ue). Ma per l’olio è ancora il luogo di produzione (cioè il frantoio) a dare l’origine. Bruxelles vorrebbe ora cambiare le regole, lasciando ai paesi la libertà di introdurre l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di un prodotto (e anche degli ingredienti), se tale misura va a difesa della qualità. Così, sugli scaffali si leggerebbe “pasta italiana da grano canadese” od “olio italiano da olive tunisine”. Peccato che non tutti siano d’accordo.
La Federalimentare, che rappresenta l’industria alimentare in Italia, esprime tutta la sua contrarietà a una norma nazionale facoltativa del genere. Motivo? La ritiene impraticabile in un mercato che prevede la libera circolazione delle merci. Secondo un sondaggio Swg-Coldiretti, però, l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti e dei suoi ingredienti piace al 97 per cento dei consumatori europei. Non è poco.

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