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Panorama

Rapsodia americana in cinque uve ... Anni fa a New York il mio amico
Fabrizio Del Noce mi impose l’assaggio del
l’Opus One, il vino americano più famoso.
Confesso che l’emozione fu relativa. Ho mancato tre anni fa l’assaggio da Pinchiorri a Firenze della memorabile annata 1979,
la prima a essere prodotta da Robert Mondavi e Philippe de Rothschild e grazie a Franco Ricci dell’Ais di Roma ho assaggiato ora
il 1997, la migliore annata (col 2001) dell’ultimo decennio. Bene, era fantastica.
Questo cocktail di cinque uve con il Cabernet Sauvignon all’82 per cento ha nel profumo discreto e aristocratico il primo tempo di una grande e complessa sinfonia. Con una differenza: per sprigionare il suo fascino una sinfonia ha bisogno di quattro movimenti. Qui bastano le prime note dell’assaggio per farla esplodere.
Se l’Opus One è al vertice delle mie memorie di vini rossi, il Belle Cote 2003 di Peter Michael (Sonoma Valley, California) che ho assaggiato da Giorgio Pinchiorri è al vertice dei bianchi. Scuola borgognona, legno
americano, si apre con una musicalità così
ampia da impegnare severamente nel confronto i tre grandi omologhi italiani (Ca’ del
Bosco, Gaya & Rey, Cervaro della Sala). Appena una tacca sotto l’Opus One l’Insignia
di Joseph Phelps (Napa Valley) di cui Franco Ricci mi ha procurato una bottiglia del 2003 (trentesima vendemmia). Uvaggio simile all’Opus One, profumo portentoso, sapore da grandissimo basso lirico (genere Boris Godunov, per intenderci). Secondo Pinchiorri, il Cabernet Sauvignon di Harlan Estate non può mancare in una grande cantina. Al mio ininfluente palato l’annata 2004 è parsa come una modella di straordinaria bellezza, ma fredda, dotata di una purezza di lineamenti eccessivamente aristocratica. Chiudo segnalando un grande Pinot Noir, il Key Hole Ranch ’99 (Russian River Valley): qui sapori femminili e maschili si mescolano magnificamente in uno splendido retrogusto.

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