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Panorama

Le signore del vino ... Chi l’ha detto che per fare buone bottiglie bisogna essere uomini? In tutta Italia un viticultore su quattro è donna. E i grappoli rosa spesso sono sorprendenti … Chi ha detto che fare il vino è un mestiere da uomo? Forse era vero vent’anni fa, ma non oggi. Secondo una stima della Coldiretti, su 250 mila aziende vitivinicole in Italia il 25 per cento fa capo a una donna, mentre la California si ferma al 10 per cento e la Francia non supera il 23. E ebbra di soddisfazione Adriana Bucco, responsabile nazionale di Donne impresa e anch’essa impegnata nel settore del vino: “in questi anni siamo entrate sempre più in prima persona nelle aziende, rilevandole o addirittura fondandole. Abbiamo portato fantasia e una notevole capacità imprenditoriale, anche e soprattutto sul mercato estero”. Ma come s’inserisce l’altra parte del cielo in un mondo di maschi? Panorama l’ha chiesto ad alcune quotate produttrici, alla vigilia della vendemmia, quando si giocano in pochi giorni le fatiche di un anno intero. Giulia Cavalieri, 54 anni, è al lavoro nella cantina dove, sotto le volte a botte in mattoni, i Franciacorta riposano sui lieviti in attesa di raggiungere i calici: “Per una donna è importante scegliere i collaboratori e le strategie, perché tutti pensano: dov’è l’uomo? Le 250 mila bottiglie che produciamo sono espressione dell’unicità della Franciacorta, vini con grinta, non Chanel n° 5 per intenderci”. Le fa da controcanto Elena Pantaleoni, proprietaria della Stoppa, una tenuta circondata dalle vigne sulle colline della VaI Trebbia: “Nel 1995 mia madre, che ha sempre condotto l’azienda, decise di trasferirsi in Cile in modo che io potessi continuare senza condiziona- menti. Oggi produciamo nove- etichette e 160 mila bottiglie”. Nicoletta Bocca 52 anni, guarda invece i suoi filari dalla collina di San Fereolo a Dogliani che papà Giorgio, il giornalista, definiva “una coppa dei tarocchi rovesciata sulla piana di Cuneo”: “sono arrivata nel 1992 e ho incominciato recuperando le vigne che gli anziani abbandonavano, le più piccole e strette, oggi l’azienda è 12 ettari in biodinamico. All’inizio ero sola e ho fatto lavori pesanti fino a vedere il mio corpo che cambiava, mettevo su i muscoli. La gioia più grande? Quando mio padre, che era un barolista, ammise che il mio Dolcetto era ottimo”.
Accanto a queste splendide cinquantenni, come direbbe Nanni Moretti, troviamo la generazione delle trentenni. Come Bianca Rizzo, nipote di Laura Aschero, che cura il marketing dell’azienda che prende il nome della nonna: anno di fondazione 1981. Parla delle vigne a fasce sostenute dai muretti a secco del Ponente ligure, quelle delle pagine di Italo Calvino: “Il vino che amo è il Pigato perché è l’espressione più vera della mia terra e dei profumi della macchia mediterranea”. Stessa età per Francesca Sfondrini, laureata in cultura tibetana e, dal 2007, al timone di Massa Vecchia:
3 ettari per 12 mila bottiglie, cantina simbolo in Italia per i vini naturali. Passeggiando fra le viti di Querciola, la vigna del Sangiovese, racconta: “Mia madre faceva il vino insieme a Fabrizio Niccolaini, il fondatore dell’azienda. Io sono cresciuta a contatto con la natura ed è stato importantissimo. Ho imparato che bisogna avere la massima attenzione nell’osservare i fenomeni naturali in vigna e la maturazione in cantina, così da ottenere vini genuini e vitali”. “Tutto accade in vigna”: su questo Giulia Cavalieri non ha dubbi. “Un grande vino viene da una grande uva, altrimenti si “smanetta” in cantina”. Elena Pantaleoni aggiunge: “L’uomo o la donna che sia può esse i-e solo il custode di questo bene inestimabile che è la vite”. Sara Carbone, 42 anni, ha il suo quartiere generale nella bottaia ricavata da una grotta naturale nel centro di Melfi (Pz): “Il mio vino preferito è una delle nostre etichette di Aglianico, Stupor mundi, fatto con le uve del vigneto più vecchio, In questo vino c’è la necessità di fare andare in bottiglia solo l’eccellenza e a volte s’impongono scelte dolorose, come quella nel 2010, di non produrre l’etichetta perché l’annata non era all’altezza”. Serietà femminile, chissà quanti uomini avrebbero fatto lo stesso. Sono diverse tra loro, come le annate di un grande vino, ma a unire queste donne è il rispetto profondo del territorio. Vogliamo chiamarlo amore?


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