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Panorama

Bisol: una famiglia e un vino con le radici nella Laguna ... Prospettiva: parola suggestiva se descrive un paesaggio, colta se descrive un quadro rinascimentale, indispensabile se riguarda un progetto. Un progetto con prospettiva promette di avere dietro di sé persone illuminate che lo hanno accarezzato a lungo e che a lungo si sono impegnate a realizzarlo. Grande o piccolo che sia. Ma certo esistono luoghi privilegiati dove questa visione assume una luce speciale. Uno di questi è la laguna di Venezia, con la sua costellazione di isole, di cui solo le più grandi, Burano, Sant’Erasmo, Torcello e Murano, sono stabilmente abitate. Altre sono in degrado o tendono a scomparire, e forse questo sarebbe stato il destino di Mazzorbo, 316 abitanti a est di Burano, un cimitero e qualche orto, se non fossero intervenuti i Bisol, imprenditori del vino in equilibrio tra passione e concretezza che sfuggono alle regole strette del marketing. E molto concreto, per esempio, il loro sostegno al master in cultura del cibo e del vino di Cà Foscari, alla settima edizione. “Incoraggia nei giovani laureati in altre discipline l’apertura verso il settore delle risorse agricole e artigianali, oggi la nostra più autentica ricchezza” racconta Gianluca Bisol, direttore generale dell’azienda (il fratello Desiderio è l’enologo di famiglia). “Le lezioni si svolgono sul campo, in spirito km zero, tra le colline di Valdobbiadene ricche non solo di vigneti ma anche di frutta magnifica, soppresse, formaggi, distillerie”. E passionale, invece, il progetto Venezia nativa, vincitore del bando cli salvataggio lanciato dal Comune di Venezia, per recuperare quelle isole che furono il primo collegamento con la terraferma dei futuri veneziani. “E lì l’anima profonda della città” sostiene Bisol. La scintilla, com’era prevedibile per una dinastia di storici produttori di Prosecco di qualità a Valdobbiadene, sostenitori dell’importanza dell’identità locale dei vitigni, è nata dalla riscoperta e dal salvataggio della dorona, un’antica uva bianca da cui nasceva il nettare ufficiale servito alla tavola dei dogi. “Che sapore poteva avere un vino nato da piante con le radici affondate nell’acqua salmastra e i tronchi periodicamente sommersi dall’acqua alta? Adesso sappiamo che era sapido, con la struttura di un rosso di grande finezza” racconta Bisol. Così è oggi Venissa, l’etichetta che battezza le bottiglie nate nel 2012 dalla prima vendemmia dell’ettaro di dorona messo a dimora in una vecchia vigna murata di Mazzorbo. Un vino pressoché virtuale perché rarissimo e costosissimo. Dell’annata in uscita sono stati prodotti 188 magnum e 3.911 bottiglie da mezzo litro: prezzo 594 euro l’una.
Venissa è anche il nome della tenuta sorta sull’isola dalla trasformazione di una vecchia costruzione in un relais di sette camere claustrali, accanto a una dépendance-ristorante dove si fa cucina dell’orto e della laguna. A fianco sorgono un’antica peschiera e nove appezzamenti di terra, dove si coltivano insalate, ortaggi e alberi da frutta che il progetto ha affidato ad altrettanti anziani abitanti-agricoltori del posto. In cambio è loro richiesto di spiegare agli studenti in visita la tradizione degli orti lagunari, patrimonio un tempo inestimabile per chi, come i primi veneziani, terra ne aveva così poca. Il piccolo paradiso di Venissa, sull’isola di Mazzorbo, è collegato a Burano da un ponte di legno, percorso ogni giorno dai visitatori e dagli abitanti della Laguna. L’obiettivo del Consorzio Venezia nativa, promosso dagli operatori di Burano, Mazzorbo e Torcello, di cui Gianluca Bisol è uno dei membri fondatori, è infatti proprio quello di fare rivivere una delle aree fascinose di Venezia. “In programma” spiega Bisol “c’è un nuovo menu di esperienze per un turismo colto e diverso: pescare in una peschiera, imparare la voga alla veneta, andare a lezione di merletto, cucinare un piatto tipico insieme con una massaia del posto, meditare nella chiesa di San Francesco del deserto, visitare reperti archeologici a pelo d’acqua”. Piaceri semplici, affascinanti, dimenticati.

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