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Panorama

Il lusso
di coltivare biologico ... I vitigni di Ciù Ciù
crescono sulle morbide
colline marchigiane
e raggiungono il Far East ... Sono 130 ettari di vigneto. Un mare di ondulate colline nel cuore delle Marche che obbediscono a un solo progetto: allevare la vite in regime biologico. Non facile, perché laddove le proprietà, come nella media in Italia, sono di quattro o cinque ettari, la volontà non basta: se il vicino è un inquinatore patentato, le sostanze filtrano dal terreno confinante, e addio. Difatti la legge esige che al confine di chi si dichiara bio ci sia un pezzetto di terreno adibito a test specifici.
Il problema non si pone per la famiglia Bartolomei, proprietaria dei vini Ciù Ciù, grazie all’ampiezza delle loro tenute, in particolare per il nucleo centrale, nella zona del rosso piceno superiore, dove le loro colture sono organiche da sempre. Tra i filari prospera una variegata vegetazione spontanea che rende il terreno più permeabile all’aria e all’acqua migliorando la vitalità delle radici stesse: borragine, crespigna, tarassaco, pimpinella, cicoria selvatica, portulaca, visitate da uccelli e insetti benefici. Una sorta di fissazione di famiglia che risale agli anni Cinquanta, quando Natalino Bartolomei, oggi settantenne, «innamorato della vigna», attraverso i mille mestieri affrontati nel dopoguerra alla terra tornava sempre, con l’idea che era lì che i sudatissimi risparmi andavano investiti.
Ci hanno creduto anche i figli Massimiliano e Walter, fondando negli anni Settanta la Ciù Ciù, dove subito si è dato credito a passerina e pecorino, i due umili vitigni autoctoni, ormai semiestinti, che, elevati di rango, adesso producono vini molto richiesti da chi nel bicchiere oltre alla piacevolezza cerca la storia, il profumo, l’eco della gente che ci lavora. Come Le Merlettaie, un piacevole bianco dorato, intenso e persistente, da uve pecorino, allevate sulle colline di Offida; e Altamarea, uno spumante brut da uve passerina, 12 gradi delicati e fragranti, ideali per le sere estive.
Ma le potenzialità delle colline marchigiane, dove arriva l’aria di mare e le notti sono fresche e ventilate, hanno permesso di collaudare con successo vitigni famosi. Il risultato è una vasta gamma di bottiglie tra cui svettano i rossi Bacchus e il Gotico rosso piceno superiore, potenti ma equilibrati a base di sangiovese e montepulciano d’Abruzzo. Le cifre sono importanti: 15 etichette, un milione e mezzo di bottiglie vendute, oltre che in Italia, in Cina, Giappone, Stati Uniti, ed Europa dell’est. Ma anche emozionanti se si pensa che questa storia è una delle molte nate da italiani che hanno trasformato condizioni di grande disagio in successi economici. Quella di Ciù Ciù la racconta il suo fondatore, nell’autobiografia Una storia divino nelle Marche, edita da Capponi: ritratto di un’Italia dimenticata ed esemplare.
Lì, tra l’altro, spiega il perché del curioso nome Ciù Ciù: “Vendevamo il vino sfuso a casa, a Offida, ma in paese il cognome Bartolomei è diffusissimo e i clienti facevano fatica a trovarci. Solo nostro, invece, il soprannome Giù Giù. Ci ha portato fortuna e non lo abbiamo più lasciato”.


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