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200 miliardi di dollari di capacità di spesa ogni anno, poca conoscenza del vino ma tanta voglia di sperimentare e di informarsi, soprattutto sui social: ecco i Millennials, la generazione n. 1 del consumo di vino negli States, secondo Sopexa Usa

Non si vergognano di sapere poco del vino, ma ne sono curiosi, aperti a sperimentare, e per informarsi si affidano soprattutto ad internet, e ai social media in particolare, fidandosi delle opinioni dei loro coetanei che ne sanno di più, magari giovani sommelier, e si influenzano a vicenda. Ecco i “Millennials”, la generazione che cambierà e guiderà il mercato Usa, il n. 1 al mondo per il vino, di cui si parla da tempo, ed ora analizzati in profondità da Sopexa Usa (www.sopexa-usa.com), divisione americana dell’agenzia francese che si occupa di promozione del wine & food (non solo di Francia) in tutto il mondo.
Una generazione che, complessivamente, ha una capacità di spesa di 200 miliardi di dollari all’anno, “e che è molto interessante perché i Millennials, che ora sono la più grande categoria di wine drinkers in Usa, a differenza della Generazione-X, e ancor di più dei Baby Boomers - spiega, a WineNews, Pauline Oudin, Managing Director Sopexa Usa, non hanno trovato ancora i loro vini di riferimento, un loro stile, ma sono aperti a sperimentare cose diverse. Non conoscono molto il vino non hanno molte nozioni, ed è anche per questo che sono più aperti. Ed è anche per questo che per ingaggiarli i social media sono così importanti”.
Non solo perché ognuno di loro accede ai diversi social più di una volta al giorno, ma anche perché “non guardano molta tv, non leggono giornali e riviste di settore, e di conseguenza le forme di advertising tradizionale non riescono a colpirli. L’unica via per raggiungerli ed in qualche modo influenzarli è farlo nei luoghi che loro frequentano, che sostanzialmente sono 2: social media e web, dove cercano e condividono informazioni. Praticamente tutti quando entrano in un negozio ascoltano quello che il venditore gli dice sulla bottiglia di vino, ma poi prendono in mano il loro smartphone e sono più interessati a sapere quello che altra gente dice di quel vino. Sono molto attenti a quello che il loro network di conoscenze dice, e a quello che si trova in rete su un vino o su un territorio, e questo fenomeno è tanto più importante proprio nel mondo del vino perché questa è una generazione che non si sente in imbarazzo a dire che ne capisce poco. Anzi, lo riconoscono senza problemi, e per questo si affidano a coloro ai quali riconoscono una certa expertise sul tema, e questi riferimenti per loro si trovano soprattutto on line. È una generazione meno materialista della Gen-X o dei Boomers, quello che gli interessa sono le esperienze, più che il consumo di un prodotto specifico, spendono i loro soldi per andare ad eventi in cui si divertono ed è lì che puoi entrare in contatto con loro, e coinvolgerli, recapitargli i tuoi messaggi soprattutto secondo la logica dell’edutainment”.
Un grande ruolo in tutto questo, ovviamente, lo hanno gli “influencer” che però, per i Millennials, non sono i “vecchi saggi” del vino, i critici già affermati e sulla scena da anni, ma persone della loro cerchia, della loro età.
“L’influencer può essere un amico che ne sa di più, un sommelier che hanno incontrato e che seguono sui social. E un’altra cosa interessante è che i Millennials che sono sommelier si influenzano di più tra loro in rete che attraverso le riviste che leggono. Abbiamo fatto una ricerca all’inizio del 2015, chiedendo ad ogni gruppo del “3-tier system” americano (importatore-distributore-retail) da quale media venisse influenzato di più. E se tra importatori e distributori tradizionali la prima risposta è ancora la stampa di settore, a livello retail e sommelier, dove si trovano le persone più giovani, la risposta è stata che a contare di più è la condivisione di opinioni ed esperienze sui social network. In sintesi, i giovani sommellier si influenzano a vicenda, e poi questo ricade sui Millennials che li seguono sui social. E da questo abbiamo capito che per colpire questo target vanno creati nuovi approcci, imparando anche dai contenuti che loro stessi generano. Per esempio, abbiamo creato per alcuni dei nostri clienti quelli che abbiamo chiamato “Young Sommelier Lunches”, chiedendo a giovani sommelier con una forte influenza sui social media di invitare altri giovani colleghi, a trovarsi insieme per un pranzo e a portare un vino di un certo territorio. Noi ci siamo occupati delle spese per cibo e vino, loro hanno generato molta conversazione e confronto sul perché quel vino fosse il loro preferito di quel territorio e così via, da condividere sui social. Quando fai qualcosa così, quanto hai 6-8 sommelier che nei influenzano altri che a cascata poi raggiungono i Millennials, sposti molta attenzione su quel vino o su quella regione, crei molti contenuti che poi vengono utilizzati in diversi modi, dalla creazione di interesse e curiosità per il brand o il territorio fino, ovviamente all’orientamento all’acquisto”.
Un modo nuovo, per il mondo del vino, di fare promozione e comunicazione che può essere complicato da capire. “Per comprendere quanto quanto sia importante - aggiunge Pauline Oudin - non c’è nulla di meglio che venire di persona nel mercato, parlare con i sommelier, con i retailer, con chi vive in prima linea tutti i giorni e può spiegare quanto sia importante oggi il canale dei social. E anche se uno va on-line e guarda all’enormità del volume di contenuti creati non solo da Consorzi o associazioni del vino, ma anche da singole cantine o personaggi, si rende conto di quanto gli americani siano coinvolti, appassionati, quanto gli piaccia condividere le informazioni e le opinioni su quello che hanno bevuto (sono oltre 6.300 i siti che parlano di vino in Usa, ndr). Ed è importante seguire tutto questo perché ti rendi conto che conversazioni e dibattiti sul tuo territorio o sul tuo vino esistano a prescindere dal fatto che tu lo voglia o no: puoi solo decidere se fare parte o meno della conversazione, e se tentare di subirla o di guidarla”.
“Ed in questo senso è importante che consorzi e gruppi di aziende facciano sempre più massa critica per promuovere non solo il proprio brand o prodotto, ma anche la cultura del consumo del vino del loro Paese più in generale, anche attraverso questi nuovi canali”, aggiunge Ettore Zanoli, direttore Sopexa Italia
(www.sopexa-italia.com). Anche perché le ricadute sul mercato, poi sono evidenti. Come la crescita di Paesi come Cile, Argentina o Spagna che, spiega Sopexa, stanno investendo molto in comunicazione di questo tipo nel mercato Usa e stanno pian piano allargando la loro quota di mercato, un po’ a discapito degli storici importatori in Usa, anche se l’Italia rimane di gran lunga il Paese n. 1 in questo mercato. Per ora.

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